2014-10-01 13:49:00

Calo delle nascite in Italia. Belletti: figlio è investimento sul futuro


In Italia restano allarmanti i dati sulla natalità: nel 2013 le nascite hanno avuto una riduzione del 3,7%. Lo sottolinea un’indagine del Censis. A fare la differenza, secondo il rapporto, la difficile situazione economica degli italiani: dall’inizio della crisi sono oltre 62.000 i nati in meno all'anno. Scarsa anche l’informazione dei cittadini sulle problematiche legate all’infertilità. Il ministro della Salute Lorenzin, dal canto suo, ha annunciato un piano per incentivare le nascite che coinvolga tutte le istituzioni competenti. Una riflessione sui fattori cruciali che incidono sul fenomeno, Paola Simonetti l’ha chiesta a Francesco Belletti, presidente del Forum delle famiglie:

R. – Certamente la vicenda economica è un argomento decisivo per il tema dei figli. Di fatto, una famiglia deve investire 25-30 anni di vita professionale, di tenuta delle relazioni, quando accoglie un bambino. Una domanda sulla sostenibilità economica è importante. In Italia, in particolare, una famiglia diventa povera anche solo perché ha un figlio in più: un terzo o un quarto figlio sono dei predittori di povertà e questo dice che il problema dei soldi non è un problema solo di crisi economica ma anche di politiche fiscali ingiuste.

D. – La ricerca del Censis, però, mette in luce come la crisi economica incida anche sull’impossibilità, per esempio, ad accedere alle cure contro l’infertilità di cui peraltro – occorre dirlo – gli italiani sanno molto poco. Come intervenire, secondo lei?

R. – La scelta radicale, rispetto all’infertilità, riguarda anche questa tremenda strategia del rinvio dei tempi di vita che il nostro Paese ha generato da diversi decenni; cioè, oggi si parla di ragazzi a 30-35 anni, non si parla di adulti. Una volta a 25 anni – anche solo 30, 40 anni fa – uno si sposava, metteva su famiglia e incominciava ad avere figli. L’età fertile veniva intercettata molto più puntualmente. Quindi, prima di tutto dovremmo restituire vita attiva alle traiettorie di vita delle persone. C’è perciò una grande emergenza di politiche per i giovani, di anticipazione dei tempi di vita, il che vuol dire far uscire i giovani dalla marginalità.

D. – Il ministro della Salute, Lorenzin, ha annunciato la volontà di mettere in campo un piano per far nascere più bambini in Italia, costruendo un tavolo di esperti e coinvolgendo più istituzioni per campagne informative, e non solo. Lei cosa ne pensa?

R. – Non possiamo che dire bene, perché è da tanto che l’associazionismo familiare, gli osservatori meno ideologici dicevano che il tema della natalità non è un problema di politiche demografiche di potenza, ma ne va del futuro del Paese. Una società che invecchia non ha più innovazione, non ha più giovani generazioni che prendano in mano il Paese … E nella gerontocrazia del nostro Paese, anche il tema di sostenere chi decide di scommettere sui nuovi figli è fondamentale. Probabilmente, il fatto che parta dal ministero della Salute chiede un ampliamento di questo, perché le risposte non possono essere solo mediche, di educazione alla salute; riguardano le politiche economiche, come dicevamo prima; riguardano anche la cultura perché oggi esiste anche una posizione culturale pubblica per cui si dice: “Sei un irresponsabile a mettere al mondo un figlio perché consuma il pianeta, perché non sai che futuro gli devi dare …”. Qui ci vuole coraggio e speranza, perché dare la vita a un figlio è una grande scommessa, è un grande investimento sul futuro, è un grande progetto.

D. – La Lorenzin mette in luce anche un’altra, grande problematica dell’Italia, cioè la non-conciliabilità dei tempi di lavoro delle donne con la maternità …

R. – E’ un nervo scoperto che soprattutto nel nostro Paese è grave. Qui, per una volta potremmo non parlare troppo male della politica che ha provato a mettere delle regole, ma il vero ostacolo è la cultura di impresa del nostro Paese. La flessibilità a misura di famiglia è indicibile ... spesso vengono dall’estero le aziende che introducono esperienze di conciliazione famiglia-lavoro, e questo è molto grave, perché è come se una persona con carichi familiari sia nemico della cultura di impresa. Invece, è verissimo il contrario: cioè, spesso concedere il part-time a una madre consente di lasciare nel gioco persone chiave che poi rientreranno, di investire meglio nel lavoro … Non credo proprio che vogliamo costruire una società nella quale l’idolo sia il lavoro. Qui è un problema più della cultura diimpresa: bisogna condividerlo con gli imprenditori, con i capi degli uffici del personale e anche con i sindacati, che poco hanno investito a tutela dei lavoratori e delle loro famiglie sulla questione dei tempi di lavoro …








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