2014-10-13 08:06:00

Bosnia: Izetbegovic, Covic e Cvijanovic in testa per la presidenza tripartita


Affluenza in calo ieri in Bosnia alle elezioni centrali e regionali. Dopo lo spoglio di quasi l’80% delle schede, i dati sulla presidenza tripartita vedono in testa il membro musulmano uscente della presidenza, Bakir Izetbegovic.  Per quanto riguarda l’esponente croato della presidenza si profila la vittoria di Dragan Covic. Mentre nella Republika Srpska- territorio a maggioranza serba – è in testa per la presidenza la premier Zeljka Cvijanovic. Ma come si è presentato il Paese a questa sfida elettorale. Marco Guerra lo ha chiesto all’arcivescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar:

R. – Con i problemi non risolti ma fondamentali, che si protraggono già da dopo la guerra, la Bosnia ed Erzegovina purtroppo - e questo si è verificato in tutte le elezioni che si sono tenute finora – non trova ancora uno sbocco, un modo di indirizzarsi su una strada che la porti ad una prosperità. Purtroppo il Paese è molto diviso politicamente, ma anche territorialmente; è un Paese pieno di contraddizioni. Tutto questo si riflette anche su questa campagna elettorale. C’è una ‘acidità’ di fondo, che mi sembra sempre più contaminare la nostra gente, che non vede la prosperità, che non vede futuro: questo è il peso più grande che si sente ovunque ci si muova.

D. – Come guarda all’Europa il Paese? C’è un processo d’integrazione? C’è speranza nel guardare all’Europa?

R. – Sì! Direi che c’è il desiderio, ma c’è anche una certa rassegnazione perché in questi quasi 20 anni - dopo la fine della guerra - non si è fatto molto, non si è ancora aperto il processo di integrazione. Siamo, fra tutti i Paesi che aspirano all’ingresso nella Comunità Europa, all’ultimo posto, nonostante ci sia un grande desiderio e un grande bisogno di far parte della Comunità europea. Purtroppo il nostro bagaglio politico, i risentimenti della guerra e le ingiustizie compiute ci rendono prigionieri: neppure l’Europa trova iniziative che potrebbero suscitare un effetto visibile e tangibile. Quindi da una parte c’è il desiderio e dall’altra c’è la rassegnazione, perché non si vede alcun successo in questo senso.

D. – Il mosaico interetnico della Bosnia ed Erzegovina ha trovato una sua stabilità?

R. – Sembra che più passi il tempo e più queste divisioni sentono! Queste divisioni servono per far rimanere al potere certi gruppi, certi partiti che purtroppo non vedono nel loro interesse la riconciliazione. Bisogna tenere presente che la disoccupazione è quasi al 56 per cento e c’è tanta gente che vive veramente sotto la soglia della povertà: tutto questo favorisce questa divisione e nonostante i tanti impegni e nonostante i tanti tentativi di molti gruppi, delle Chiese e delle comunità religiose, purtroppo non si vedono passi positivi sulla strada della riconciliazione del Paese, sia politica sia territoriale. Noi rimaniamo purtroppo un Paese diviso e la divisione territoriale è stata anche imposta: due organizzazioni politicamente del tutto diverse, ma anche diverse nella visione del futuro, direi non soltanto diverse, ma opposte! Certamente questo impedisce qualsiasi iniziativa per cercare di fare qualcosa di positivo nel senso comune, di tutto il Paese… Certo questa divisione politica impedisce tutto il resto! E molti sfruttano tutto questo per i loro interessi…

D. – La Chiesa, invece, cosa chiede? Qual è l’apporto della Chiesa cattolica alla società?

R. – Bisogna dire che la Chiesa in Bosnia ed Erzegovina è sempre più debole, sempre più povera… Forse una forza morale, questo sì! La Conferenza episcopale ha lanciato un appello ad andare alle urne, a votare secondo la propria coscienza e a guardare a coloro che si candidano, cercando di votare chi almeno dà l’impressione di essere capace, ben disposto a fare qualcosa per il bene comune. Certamente la Chiesa continua ad essere aperta al dialogo interreligioso, all’ecumenismo e a stare accanto alla povera gente.

 








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