2014-10-17 14:08:00

Ebola: Ue e Onu chiedono fondi e sforzi maggiori


“Ebola può diventare una catastrofe umanitaria di grandissime dimensioni, servono azioni rinforzate da tutto il mondo". Lo ha detto il presidente della Commissione europea Barroso promettendo decisioni importanti nel Consiglio Ue della prossima settimana. L’Onu finora ha raccolto solo il 38% del miliardo di dollari richiesto. L’America sta pensando al sostegno logistico in Africa con l’invio di 4 mila militari e a breve avrà un coordinatore interno per l’emergenza. Intanto si contano tre casi sospetti negli Stati Uniti, uno in Spagna. Negativi i test su pazienti in Francia. Il punto sulla situazione e sullo stato dei vaccini con il virologo Giovanni Maga, responsabile del laboratorio di virologia molecolare del Cnr di Pavia. L’intervista è di Gabriella Ceraso:

R. – In quasi nove mesi ormai di epidemia, al di fuori del Continente africano, ci sono solo tre casi confermati. E questo indica evidentemente come la fuoriuscita del virus sia un evento estremamente raro. In termini di probabilità era già stato stimato che gli Stati Uniti fossero uno dei Paesi più a rischio, ad esempio, con oltre il 20 per cento di probabilità di avere almeno un caso. E, infatti, si è verificato. Il nostro Paese è a livelli bassissimi: soltanto l’arrivo di un caso sarebbe già un evento estremamente improbabile e poi ci sarebbero strutture sanitarie adeguate e pronte. Quindi anch’io sono d’accordo che non ci sia nessun rischio di epidemia in Europa.

D. – Sul fronte invece africano, diecimila nuovi casi, da qui a gennaio, a settimana, secondo l'Oms. Ci vogliono soldi e azioni, ribadisce la Gran Bretagna, si è fatto troppo poco. Che ne pensa?

R. – C’è stato un ritardo nella valutazione della situazione sul campo, per tanti motivi, anche per il fatto che, comunque, storicamente, Ebola in 40 anni è stato un virus che ha causato un migliaio o poco più di infezioni. Adesso, però, le proiezioni mostrano lo scenario peggiore, se le risorse messe in campo non dovessero essere sufficienti. In realtà, ci sono già dei segni che l’epidemia in alcune zone comincia a rallentare. Quindi se verranno investite risorse, senza badare a spese, noi potremmo anche già spegnere l’epidemia all’inizio dell’anno prossimo.

D. – Il fronte su cui sicuramente bisogna agire è quello dei vaccini. A che punto è la ricerca ed esistono veramente già vaccini utilizzabili?

R. – Di vaccini ce ne sono almeno due molto promettenti, in fase di sperimentazione, che però non saranno pronti per l’uso generalizzato a breve, ma sono ovviamente uno dei focus della ricerca. Ci sono anche dei farmaci, almeno due, anche questi all’inizio della sperimentazione, che sembrano funzionare e che potrebbero essere autorizzati per l’utilizzo sul fronte dell’epidemia, magari più rapidamente dei vaccini.

D. – La Glaxo, che mi sembra sia una delle industrie farmaceutiche all’avanguardia, ha detto che sarà molto difficile avere un vaccino su larga scala. Che significa?

R. – Certo, perché per potere arrivare alla somministrazione generale di un vaccino alla popolazione sana, bisogna completare tutte e tre le fasi cliniche, e questo richiede un lungo tempo. Quello che potrebbe succedere, ad esempio con questo vaccino Glaxo, se funzionerà sulla fase due, se mostrerà cioè un’efficacia su un numero limitato ovviamente di persone affette, è che potrebbe essere utilizzato nella situazione calda dell’epidemia, per cercare di dare un supporto, e quindi limitare il più possibile l’infezione. Ma chiaramente non si può pensare ad un uso commerciale o generalizzato, prima del completamento di tutte le fasi cliniche.

D. – E, in Africa, il personale cosa utilizza?

R. – Per contrastare l’epidemia, l’unica cosa che si può veramente fare è supportare le funzioni vitali del paziente, sperando che il sistema immunitario poi reagisca. In un caso su due, grossomodo, il paziente può guarire. E’ stato autorizzato, ad esempio, l’utilizzo di siero prelevato da pazienti che sono guariti, che può venire fatto e viene anche fatto. Come dicevo, i farmaci, siccome non sono ancora disponibili, sono proprio di solito appannaggio di pochi centri. Non è, dunque, certamente un approccio generalizzato. E’ solo la buona medicina clinica in questo momento, dunque, che può aiutare sul fronte africano.








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