2014-10-18 12:32:00

Beatificazione di Papa Montini, il ricordo del nipote Fausto


Papa Francesco presiede questa domenica in Piazza San Pietro, alle 10.30, la Santa Messa per la conclusione della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi e la Beatificazione del Servo di Dio Paolo VI. Una celebrazione a cui parteciperanno migliaia di pellegrini, giunti in particolare da Brescia e Milano. Ascoltiamo, al microfono di Elvira Ragosta, il ricordo che Fausto Montini, nipote di Paolo VI, fa di suo zio:

R. - Ricordo che questa presenza dello zio in casa, soprattutto da piccolo, determinava la percezione di un personaggio importante della famiglia che poi, un po’ alla volta, ho scoperto essere il vero referente ultimo della nostra famiglia ancora prima che fosse eletto Papa.

D. - Com’è cambiato il rapporto con l’inizio del pontificato?

R. - Durante il primo incontro dopo la sua elezione si percepiva la sensazione fisica di una dimensione inarrivabile per noi; l’indicazione dei genitori che bisognava rispettare il protocollo nel rivolgersi a lui, devo dire, mi ha creato un po’ di problemi, rendendomi difficile affrontare un discorso se non limitandomi a rispondere semplicemente. Poi quanto è arrivata la sua fotografia a casa con la sua benedizione, con la firma di Papa Paolo VI, sotto c’era una scritta “Olim don Battista”, e abbiamo capito che per noi nel grande rispetto, nella grande affezione, poteva essere ancora chiamato lo zio don Battista.

D. - In quanto zio, lei raccontava, nella sua giovane età una figura fondamentale, a  volte anche di supporto a quella paterna, perché suo padre era spesso fuori per impegni internazionali. Oggi qual è il ricordo più forte di Papa Paolo VI che porta con se?

R. - Riferito al Papa, i due episodi principali sono l’annuncio della sua elezione e la notizia della sua agonia.

E sull’importanza di questa beatificazione, abbiamo raccolto il commento di don Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI di Brescia:

R. - Credo che sia il senso di una beatificazione: in fondo, dichiarare la santità di un cristiano vuol dire indicarlo come modello e quindi proporlo come esempio a tutti i fedeli.

D. - C’è un elemento su tutti del suo magistero che vuole sottolineare?

R. - Mi pare che il suo magistero sia, anzitutto, in profonda sintonia con il Concilio Vaticano II. Lo si coglie fin dalla prima Enciclica, l’Ecclesiam suam, che, quasi con cautela, con molto rispetto interviene sul tema che era in discussione nell’aula conciliare, proponendo il suo contributo nella riflessione sulla Chiesa, sulla coscienza che è chiamata ad avere di sé sulla riforma e sul dialogo come metodo attraverso cui è chiamata a compiere la sua missione. Mi pare che questo sia stato uno stile che poi è continuato durante tutto il suo magistero, da una parte attento soprattutto a questo compito del successore di Pietro a conservare l’elemento irrinunciabile della fede - anche a costo di andare contro le aspettative che forse potevano esserci  - e dall’altra in documenti come la Populorum progressio attento a rinnovare la Dottrina sociale della Chiesa, introducendo questo punto di vista del Sud del mondo, dei popoli che si affacciano e che chiedono appunto di poter partecipare ad una maggiore giustizia.








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