2014-10-20 12:27:00

Pakistan. Attivisti cristiani alla Corte Suprema: giustizia per Asia Bibi


Attivisti e leader cristiani di tutto il mondo lanciano un appello alla Corte Suprema pakistana perché acceleri i tempi del processo di Asia Bibi, condannata la scorsa settimana anche in secondo grado alla pena capitale per blasfemia. In prima fila il movimento Christian Solidarity Worldwide (Csw), che chiede al contempo sicurezza e garanzie per la donna cristiana, madre di cinque figli, oggetto di minacce di morte in carcere. Prima di arrivare a verdetto, solo quest'anno i giudici hanno rimandato per ben cinque volte l'udienza e sono stati oggetto - assieme agli avvocati della difesa - di minacce di morte ad opera di gruppi fondamentalisti islamici.

Alla lettura della sentenza, il 16 ottobre scorso - riferisce l'agenzia AsiaNews - erano presenti in aula il leader religioso Qari Saleem che ha sporto denuncia contro Asia Bibi ed esponenti del gruppo Jamaat ud Dawa (JuD), braccio politico del movimento estremista islamico pakistano Lashkar-e-Taiba (LeT). Essi volevano ottenere anche in secondo grado la condanna della donna, a fronte di accuse pretestuose, montante ad arte e infondate.

Asia Bibi, arrestata il 19 giugno 2009 e condannata a morte in primo grado nel novembre 2010, da allora sottoposta al regime di isolamento per motivi di sicurezza, è da tempo un simbolo della lotta contro la blasfemia. Per averla difesa, nel 2011 gli estremisti islamici hanno massacrato il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro federale per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico.

La comunità cristiana pakistana ha promosso a più riprese giornate di digiuno e preghiera - cui hanno aderito anche musulmani - per la sua liberazione. Nella sentenza di condanna, il giudice ha ritenuto valide le accuse delle due donne musulmane che hanno testimoniato sulla presunta blasfemia commessa da Asia.

Andy Dipper, responsabile dell'ufficio operativo di Csw, parla di "profonda delusione" per la decisione dell'Alta corte di Lahore; secondo l'attivista la sua ingiusta condanna è un segno dei "continui abusi" commessi in nome delle leggi sulla blasfemia e della "debolezza" del sistema giudiziario pakistano. Egli parla di "pregiudizio, inefficienza, corruzione e mancanza di sicurezza" nei casi di blasfemia, che colpiscono in modo particolare le minoranze; e auspica al contempo che il suo caso venga approfondito con la massima urgenza e speditezza - tra il primo e secondo grado di giudizio sono trascorsi quattro anni - dal giudice capo Nasirul Mulk, ai vertici della Corte Suprema.

A difesa di Asia Bibi si schiera anche Michelle Chaudhry, presidente della Cecil&Iris Chaudhry Foundation (Cicf), che crede con "fiducia e ottimismo" nel proscioglimento al terzo grado di giudizio. L'auspicio è che i supremi giudici, autori il 19 giugno scorso di una sentenza volta a garantire maggiori protezioni e tutele alle minoranze, mantengano fede ai propositi e assicurino giustizia alla donna.








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