2014-10-21 14:10:00

Sud Sudan. P. Tresoldi: cauto ottimismo su accordo di pace


Nuove speranze per la pace in Sud Sudan, dove dal 15 dicembre scorso è in corso un conflitto tra le truppe del presidente, Salva Kiir, e le milizie ribelli guidate dall’ex vicepresidente, Riek Machar. Ieri, sotto la mediazione della Tanzania, è avvenuto il primo incontro diretto tra i due protagonisti della crisi, Kiir e Machar, che hanno firmato un accordo teso a risolvere le cause di una guerra costata la vita a migliaia di civili. Marco Guerra ha raccolto il commento del direttore responsabile della rivista dei Comboniani, "Nigrizia", padre Efrem Tresoldi:

R. – La reazione di tanti analisti, che seguono quello che sta avvenendo in Sud Sudan, è di un cauto ottimismo, dovuto al fatto che questo sarebbe il quinto accordo di pace, che viene siglato tra la fazione guidata da Riek Machar, ex vice Presidente di Salva Kiir, e lo stesso Presidente Salva Kiir, del partito al governo. E si spera appunto che questo sia un accordo diverso rispetto agli altri quattro, che sono stati sempre disattesi una volta firmati e quindi i conflitti sono ripresi puntualmente. Ottimismo, anche dovuto al fatto che è la prima volta che si sono incontrati faccia a faccia il Presidente Salva Kiir e il rivale Riek Machar, mentre nei precedenti accordi si trattava di delegazioni, e i due protagonisti della crisi non si erano mai incontrati direttamente. Forse questo dà senz’altro maggiore peso a questo accordo, rispetto ai precedenti. Paradossalmente, gli artefici di questa crisi, di questa ennesima guerra civile sono le stesse persone che oggi vogliono invece mettere fine a questa insensata guerra, che ha causato appunto più di centomila sfollati e decine di migliaia di morti, paesi interi distrutti e infrastrutture – le pochissime che c’erano – andate perse. Quindi queste persone oggi hanno in mano di nuovo la responsabilità di rimettere in sesto questo Paese.

D. – Le intese, firmate ieri, sono un accordo interno al Movimento di liberazione del popolo, il partito di governo. Quali sono le vere ragioni che stanno dietro a questo scontro che si potrebbe definire fratricida?

R. – Inizialmente sono state ragioni di lotte di potere. Il fatto che l’ex vice Presidente sia stato dimissionato da Salva Kiir, ha portato a un risentimento in Riek Machar, che alleandosi appunto alla sua etnia Nuer, si è contrapposto a Salva Kiir, invece facente parte dell’etnia maggioritaria dei Dinga. Ma questa lotta di potere, per avere poi il comando del Paese nelle prossime elezioni, che dovrebbero avvenire probabilmente ancora nel 2015, era senz’altro anche per mettere mano alle grandi ricchezze di questo Paese, soprattutto alla ricchezza del petrolio, che è particolarmente abbondante negli Stati a Nord del Paese, dove ci sono stati gli scontri più forti. Quindi era una lotta di potere finalizzata proprio al poter sfruttare queste ricchezze naturali e quindi per un arricchimento personale. Strumentalmente, dunque, viene utilizzata la carta etnica, ma il fine, senz’altro, è quello di un potere politico ed economico. Ma vorrei dire anche un’altra cosa importante, pur essendo un fatto nuovo quello dei due leader, che s’incontrano e firmano un accordo di pace, che questo accordo non avrà mai successo senza il coinvolgimento della società civile e in particolare delle Chiese. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ed anche il Consiglio islamico del Sud Sudan si sono attivati da tempo per la riconciliazione e da tempo chiedono di essere ammessi a questi negoziati. Giustamente, infatti, dicono: “Noi siamo vittime di questa situazione, noi possiamo essere parte della soluzione del problema”.

D. – In che condizioni si trova il Sud Sudan ad oltre tre anni dall’indipendenza, sancita nel luglio del 2011?

R. – Le condizioni della gente – si sa – sono sicuramente molto, molto difficili, soprattutto, appunto, negli Stati sud-sudanesi del Nord, quelli confinanti con il Sudan, dove appunto ci sono state le più grandi distruzioni e sfollamenti degli abitanti del posto. La gente non ha potuto coltivare i campi. L’agricoltura rimane essenzialmente la fonte principale di approvvigionamento, ma questa è messa in crisi da ormai quasi un anno di combattimenti e di conflitti interni. Questo, quindi, pone soprattutto una questione umanitaria, che chiede senz’altro un aiuto alla comunità internazionale, per venire incontro a questa gente, che non ha cibo per potere continuare a vivere.








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