2014-10-25 15:00:00

Attacchi in Sinai: l’Egitto impone lo stato di emergenza


In Egitto sono almeno 30 i soldati morti in seguito ad una serie di attentati, di matrice jihadista compiuti ieri, contro le forze armate, nella penisola del Sinai. Dopo gli attacchi, il governo egiziano ha imposto lo stato di emergenza e chiuso il valico di Rafah con la Striscia di Gaza. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Stato di emergenza in Sinai e chiusura del valico di Rafah. Sono le principali misure adottate dall’Egitto dopo gli attentati di ieri contro le forze di sicurezza. Lo stato d’emergenza, che durerà tre mesi, è in vigore a partire da oggi in diverse città del nord del Sinai, dove si concentrano da diversi mesi gli attacchi di gruppi jihadisti contro i militari. Imposto inoltre un coprifuoco notturno di 14 ore. Dopo la nuova ondata di violenze, l’Egitto ha anche deciso la chiusura del valico di Rafah con la Striscia di Gaza. Il Consiglio di Difesa nazionale, ha annunciato una reazione durissima contro gli autori degli attentati. Gli attacchi non sono stati ancora rivendicati, ma i principali sospetti ricadono sull’organizzazione terroristica ‘Ansar Beit al-Maqdis’, considerata vicina ai miliziani del cosiddetto Stato islamico. Nella zona teatro delle azioni terroristiche di ieri, l’esercito egiziano conduce da almeno due anni una massiccia campagna contro gruppi jihadisti.

Questa nuova ondata di attentati è un’ulteriore conferma della criticità della situazione nella penisola del Sinai e nella regione mediorientale. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il giornalista della redazione della rivista Mondo e Missione del Pime, Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente:

R. – E’ una situazione molto tesa quella del Sinai, di cui l’episodio di ieri è quello più grave, ma il Sinai è praticamente dalla crisi che ha portato alla deposizione di Morsi all’ascesa al potere di al-Sisi l’anello debole del Paese dove si annidano queste formazioni jihadiste.

D. – Gli attentati non sono stati ancora rivendicati ma i responsabili sono ritenuti miliziani di un gruppo considerato vicino al sedicente Stato Islamico. Sono questi attacchi un’ulteriore prova di forza, proprio dello Stato Islamico, oltre i confini di Siria e Iraq?

R. – Questo sicuramente sì, però non è direttamente lo Stato Islamico di al Baghdadi che è arrivato anche lì; sono i gruppi che da ormai due anni - ma forse anche di più -  spadroneggiano in questa regione desertica del Sinai - regione di traffici di armi e di persone - che hanno costituito un’alleanza con questo nuovo soggetto della regione. Da questo punto di vista, è un’alleanza davvero molto pericolosa perché si innesta in una situazione come quella dell’Egitto, che è assolutamente complessa, con un Paese spaccato a metà; ma soprattutto sono un soggetto nuovo. Qui la cosa interessante da osservare è che questa alleanza non nasce oggi: è dall’inizio dell’estate che questo gruppo professa la sua fedeltà allo Stato Islamico, eppure in maniera molto significativa mentre questa estate era in corso la guerra a Gaza, è rimasto fermo. Non c’è stata alcuna azione dal Sinai, un’apertura di un fronte rispetto a Israele, mentre Israele bombardava Gaza; non sono partiti praticamente mai né attacchi né razzi contro Israele dal Sinai. Questo dice anche come il gioco politico, in realtà, sia molto complesso; queste forze non sono Hamas, non sono la jihad islamica alleata con l’Iran; sono forze diverse e anche all’interno degli equilibri del mondo jihadista - legato alla galassia araba e palestinese - ci sono rapporti di forza e regolamenti di conti in corso. È una situazione davvero molto complicata, i cui scenari sono molto inquietanti.

D. – Quale significato ha la chiusura del valico di Rafah poco prima della ripresa, al Cairo, dei negoziati israelo-palestinesi?

R. – Questa chiusura, certamente, complica questi negoziati. La questione del blocco di Gaza non è stata affatto risolta dall’esito del conflitto di questa estate; si parlava di grandi cambiamenti, addirittura si rispolveravano le idee di un aeroporto e di un porto a Gaza. Tutte questioni non realistiche, che Israele non accetterà mai. E questo negoziato che riprenderà domani al Cairo, è sostanzialmente un’azione politica, un tentativo di far vedere che comunque c’è qualcosa in corso; questo per non certificare la realtà sotto gli occhi di tutti, cioè che questa guerra si è fermata per inerzia, perché ovviamente nessuna delle due parti avrebbe potuto raggiungere per via militare obiettivi che sono irraggiungibili.








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