2014-10-28 11:49:00

Mons. Auza all’Onu: guardare al volto umano delle migrazioni


Quando la globalizzazione “unisce le persone come partner alla pari, crea risultati reciprocamente vantaggiosi” e fruttuosi per tutti. In caso contrario, essa aggrava le disuguaglianze, generando “emarginazione, sfruttamento e ingiustizia”. Lo ha sottolineato l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, intervenendo a New York alla 69.ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: sul tema “globalizzazione e interdipendenza”, è stato posto l’accento in particolare sul fenomeno delle migrazioni e sul ruolo della cultura. Il servizio di Giada Aquilino:

“Una delle più grandi sfide della globalizzazione è la migrazione”. Lo ha ricordato l’arcivescovo Auza, a nome della delegazione vaticana alle Nazioni Unite. Partendo dalla sfida centrale per gli obiettivi di sviluppo nel dopo 2015, cioè garantire a tutti i benefici della globalizzazione, e basandosi su documenti e relazioni del segretario generale dell’Onu, l’osservatore permanente della Santa Sede ha ricordato che al giorno d’oggi “solo una collaborazione sistematica e attiva tra gli Stati e le organizzazioni internazionali può essere in grado di regolare e gestire in modo efficace i movimenti migratori”.

La sfida della migrazione d’altra parte, ha aggiunto, riguarda tutti, “non solo per l’entità del fenomeno, ma anche per i problemi sociali, economici, politici, culturali e religiosi che solleva”. La preoccupazione della delegazione guidata da mons. Auza è stata quella di “evidenziare i casi particolarmente preoccupanti di traffico di esseri umani e di forme contemporanee di schiavitù”, generati dalle migrazioni: 27 milioni di persone, ha sottolineato mons. Auza, vivono in condizioni di schiavitù in tutto il mondo, per sfruttamento sessuale, lavoro forzato e negazione dei diritti fondamentali. Si stima, ha proseguito citando le statistiche internazionali, che ogni anno circa due milioni di donne siano vittime di traffici a fini sessuali e molte persone, compresi i bambini, siano al centro del traffico illegale di organi. Ancora di più sono coloro che lavorano nelle fabbriche per lunghe ore, mal pagati e senza protezioni sociali e legali. “Queste forme di schiavitù – ha riflettuto l’arcivescovo Auza – sono l’opposto di una globalizzazione guidata dalla cultura dell’incontro e dai valori della solidarietà e della giustizia”. Papa Francesco, ha sottolineato, afferma che queste forme di moderne schiavitù “sono un crimine contro l’umanità e una ferita aperta nel corpo della nostra società contemporanea”.

Pur conoscendo la complessità del fenomeno migratorio, nei suoi aspetti giuridici, nei casi di massiccia migrazione forzata o di spostamenti a causa di guerre o catastrofi, mons. Auza ha ricordato che “è necessario sempre vedere il volto umano della migrazione, vedere il migrante come un altro essere umano”, dotato dei nostri stessi diritti e dignità. Solo così si potrà “rispondere alla globalizzazione delle migrazioni con la globalizzazione della solidarietà e della cooperazione”, accompagnandola con “sforzi per portare la pace nelle regioni in conflitto e un più equo ordine economico mondiale”. Se la globalizzazione ha ridotto il mondo in un villaggio, ha detto il rappresentante della Santa Sede, allora possiamo anche diventare “buoni vicini”.

L’arcivescovo Auza ha ricordato inoltre che uno dei motori principali della globalizzazione e dell’interdipendenza è la cultura. “Il turismo culturale – ha riferito – rappresenta il 40%” delle entrate turistiche in crescita nel mondo. Ma l’accento non va posto solo sugli aspetti economici, ma anche sui benefici intangibili e non monetari: ad esempio, ha ricordato, attraverso di esso “si approfondisce la nostra conoscenza su popoli e luoghi”, si promuove la “comprensione reciproca” e una “maggiore inclusione sociale”, si amplia la consapevolezza della necessità di “proteggere meraviglie naturali”. In sintesi, ha spiegato, “la cultura è veicolo privilegiato per esprimere e condividere la nostra comune umanità”. La cultura, quindi, “non è destinata ad essere privatizzata o resa esclusiva, ma piuttosto ad essere condivisa” e ad entrare in dialogo con le altre culture, viste come dono per il “bene comune globale”.








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