2014-10-29 11:18:00

Francesco: mondo unito contro Ebola, eroi i soccorritori


“Di fronte all’aggravarsi dell’epidemia di ebola”, il Papa chiede alla Comunità internazionale di mettere in “atto ogni sforzo per debellare il virus”. Nell’appello levato al termine dell’udienza generale, in Piazza San Pietro, Francesco si è detto vicino con “l’affetto e la preghiera” alle persone colpite dalla pandemia e a quanti operano per sconfiggerla e aiutano i contagiati. Ascoltiamo la voce del Papa nel servizio di Massimiliano Menichetti:

"Di fronte all’aggravarsi dell’epidemia di ebola, desidero esprimere la mia viva preoccupazione per questa implacabile malattia che si sta diffondendo specialmente nel Continente africano, soprattutto tra le popolazioni più disagiate". 

Così il Papa in Piazza San Pietro parlando del virus che spaventa il mondo e che in Africa Occidentale ha già ucciso oltre 5 mila persone e ne ha contagiate 10 mila. Poi la preghiera e gratitudine per quelli che definisce eroi, ovvero chi si occupa delle vittime:

"Sono vicino con l’affetto e la preghiera alle persone colpite, come pure ai medici, agli infermieri, ai volontari, agli istituti religiosi e alle associazioni, che si prodigano eroicamente per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle ammalati".

"Vibrante l’appello ad uno sforzo congiunto per fermare questa terribile piaga":

"Rinnovo il mio appello, affinché la Comunità Internazionale metta in atto ogni necessario sforzo per debellare questo virus, alleviando concretamente i disagi e le sofferenze di quanti sono così duramente provati. Vi invito a pregare per loro e per quanti hanno perso la vita".

L’appello del Papa giunge mentre l’Unione Europea pensa alla mobilitazione di 40 mila esperti per fronteggiare l’emergenza in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Intanto mentre si aspettano i vaccini sperimentali, arriva la notizia che gli scienziati, in Nuova Zelanda, hanno messo a punto un test portatile del Dna che potrà consentire una diagnosi tempestiva del virus così da contenere la sua diffusione. Al microfono di Massimiliano Menichetti, l'epidemiologo di Medici Senza Frontiere, Saverio Bellizzi, in prima linea nella lotta contro l'ebola:

R. – Siamo presenti in Guinea, in Liberia e in Sierra Leone. La situazione è tuttora fuori controllo, estremamente grave soprattutto in Liberia e in Sierra Leone, leggermente meglio in Guinea, ma nulla di più.

D.- Ma un’epidemia di questo tipo come si argina?

R. – Il problema è che è un’epidemia che non ha precedenti nella storia. Le epidemie dal ’76 in poi, sono state circoscritte attraverso metodi standard: isolare immediatamente i possibili contagiati da ebola, seguiti per 21 giorni, e isolarli ancora nel momento in cui si attestavano. Questo è quello che è stato fatto per esempio in Senegal e in Nigeria che una settimana fa sono stati dichiarati “ebola free”. Però in Liberia e in Sierra Leone, non è possibile fare questo tipo di strategia perché ci sono troppi casi ed è impossibile seguirli tutti. Una delle priorità, per esempio, adesso è recuperare tutti i corpi dei morti distribuiti in città, a Monrovia, che sono la principale causa di contaminazione. Bisogna trovare strategie per rallentare l’epidemia e nel momento in cui si ha una situazione leggermente più calma, cercare di fermarla.

D.  – Allo stato attuale dunque non esistono linee codificate per contenere l’epidemia?

R. – Ci sono linee codificate, ma in questo tipo di epidemia in particolare, le linee guida devono essere accompagnate da nuove strategie.

D. – Oggi il Papa in piazza San Pietro ha definito “eroi” tutti coloro che stanno operando per cercare di fronteggiare questa epidemia. Lei è rientrato dalla Liberia, ripartirà tra pochi giorni per la Guinea. Che cosa significa lavorare in un centro che combatte l’ebola?

R. – E’  una situazione da inferno dantesco. E’ difficile da raccontare perché quando si è a Monrovia ci si rende conto che ogni persona nella città è un possibile caso di ebola. Ci sono ancora persone che muoiono in casa, persone che muoiono nelle strade: è una situazione emotivamente e psicologicamente estremamente stressante e frustrante perché nonostante abbiamo il centro più grande mai creato - il Centro ebola con 250 letti - ci si rende conto che è ancora insufficiente per far fronte alla situazione. Quindi è difficile.

D. – Il Papa ha anche chiesto coesione alla Comunità internazionale per lottare contro ebola…

R.  – Il messaggio che ha lanciato il Papa è lo stesso messaggio che abbiamo lanciato mesi fa e che l’Oms ha ripreso un mese e mezzo fa. Alcuni Stati hanno fatto promesse, altri stanno iniziando a intervenire, ma la risposta è ancora troppo lenta. Siamo estremamente in ritardo e ci vuole molto di più.

D.  – Perché secondo lei c’è questa lentezza?

R. – Una risposta certa non so darla. Vero è che le promesse di aiuto sono iniziate nel momento in cui ci si è resi conto che l’epidemia poteva varcare i confini africani. Da quel momento c’è stato un richiamo mediatico più grande, una sorta di preoccupazione più grande da parte di molti Stati. Poi presumo che ci sia anche una sorta di paura a intervenire perché è una malattia che fa molta paura.

D.  – Siccome il problema riguarda l’Africa, si interviene fino a un certo punto; quando si affaccia in Occidente allora si cerca di intervenire. C’è un po’ questo secondo lei?

R. - Questo è innegabile e lo dimostrano anche esperienze precedenti. Nel momento in cui sarebbe stata, ed è stato così nel passato, un’epidemia confinata a qualche Stato africano, non si è intervenuti in modo drastico. E ciò è testimoniato anche dalla ricerca fatta sui vaccini e sulle terapie per l’ebola: fino ad ora, non si è mai investito tanto.








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