2014-10-29 16:02:00

Social network e formazione religiosa. (Don Padrini): "Nulla può restare fuori dalla pastorale, serve meno diffidenza"


"La nostra vita è una vita unitaria, fatta di relazioni, che si realizza nelle relazioni. I social sono semplicemente dei luoghi dove si realizzano le nostre relazioni. Quando questi rovinano la nostra percezione di vita comunitaria, allora vuol dire che sono diventati un luogo di fuga. E' solo allora che dobbiamo preoccuparci, quando la rete rischia di costruire una vita parallela. Ma ciò si verifica in genere quando abbiamo già dei problemini a monte, e i media digitali in quei casi non fanno altro che amplificare atteggiamenti già sbilanciati, sfruttando alcune dinamiche non pienamente veritative che pure la rete può innescare". Don Paolo Padrini, sacerdote esperto di cultura digitale e autore del libro "Social Network e formazione religiosa. Una guida pratica" (Ed. San Paolo), anticipa ai nostri microfoni l'intervento che terrà proprio su questi temi alla Pontificia Università Lateranense. 

"I social aggiungono delle possibilità, avvicinano le periferie al centro. Sono in fondo un modo attraverso cui il Signore ci scrolla per farci uscire dai nostri ambienti spesso un po’ asfittici. Ci sono esperienze di religiosi che usano la rete in modo intelligente e creativo - sottolinea Padrini - ma in generale credo che ci sia bisogno per noi di una formazione integrata. I timori dei rettori di seminari circa il fatto che i seminaristi passino troppo tempo in rete può essere legittimo ma mi viene da chiedere: 'quanto è presente per esempio questo tema a pieno titolo negli incontri sulla formazione umana?'. Se non un tabù - precisa il religioso - c’è quantomeno ancora tanta strada da fare". 

"Nulla per noi preti può rimanere fuori da un contesto pastorale", riprende Padrini. "E' quando iniziamo a separare le cose della nostra vita, che qualcosa comincia a non funzionare. E il rischio è che qualcosa vada a finire nei ghetti e ammuffisce". 

"Sono molto numerosi i gruppi di preghiera online. Se guardiamo bene, la preghiera è proprio la cosa più virtuale che c’è ma anche la più reale. Non si tocca ma è potente, non si vede ma è presente. E allora ritengo che le esperienze di preghiera in rete siano quelle più rilevanti e feconde, che aiuteranno a fare maggiormente la sintesi, esperienze calde, in cui viviamo peraltro la responsabilità del linguaggio. Perché bisogna evitare - conclude - che le nostre parole facciano diventare la preghiera una cosa troppo umana, troppo ristretta, una ideologia". 

Ma è un luogo comune pensare che se sei un prete che usi molto i social, hai più appeal presso i giovani? "Sì, è un luogo comune. Ciò che serve davvero è la presenza piuttosto che la presa. Non appeal ma testimonianza". 








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