Il rispetto della libertà religiosa oggi continua a diminuire. I cristiani si confermano il gruppo religioso maggiormente perseguitato nel mondo, i cambiamenti registrati nelle condizioni delle minoranze religiose corrispondono a un aggravamento della situazione interna dei Paesi. È quanto emerge dalla 12.ma edizione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, presentato oggi a Roma da "Aiuto alla Chiesa che Soffre" (Acs). Il documento, pubblicato ogni due anni dalla Fondazione di diritto pontificio, fotografa il grado di rispetto della libertà religiosa in 196 Paesi, con attenzione alla situazione delle comunità cristiane e a quella dei fedeli di ogni credo. Il servizio di Giada Aquilino:
Iraq, Libia, Nigeria, Pakistan, Siria, Sudan. Sono questi i Paesi in cui "Aiuto alla Chiesa che Soffre" ha rilevato un “peggioramento significativo” delle violazioni alla libertà religiosa, nel periodo tra ottobre 2012 e giugno 2014. Un caso particolare, che riflette la situazione in Medio Oriente caratterizzata dall’avanzata del sedicente Stato islamico (Is) e dal crescente fenomeno delle migrazioni di massa, è quello dei cristiani d’Iraq. Ce ne parla Peter Sefton-Williams, presidente del comitato di redazione del Rapporto Acs sulla libertà religiosa nel mondo:
R. – I suppose it’s the worst example at the moment…
Credo che in questo momento sia l’esempio peggiore, l’esempio dell’Iraq. Nel luglio
di questo 2014, i jihadisti del sedicente Stato islamico sono entrati a Mosul. Lì
vivevano 30 mila cristiani a cui è stato detto: “Potete convertirvi o andarvene; ma
se rimanete e non vi convertirete, sarete uccisi”. Così, tutti i cristiani se ne sono
andati: non avevano altra scelta. E per la prima volta in 1600 anni, in quell’antica
città cristiana non si sono più tenute liturgie cristiane. E questo è uno scandalo
assoluto, è una disgrazia per tutto il mondo che questo accada nella nostra epoca
ai nostri fratelli cristiani.
D. – Cosa accade alle altre minoranze che vivono in Iraq?
R. – Acs' Report very clearly...
Il Rapporto di Acs evidenzia chiaramente che non solo i cristiani stanno soffrendo.
Credo che sia corretto dirlo. Papa Francesco lo ha evidenziato. Come illustra questo
Rapporto, anche i musulmani subiscono forti persecuzioni, pure se bisogna dire che
a volte questo accade per mano di altri musulmani, mentre altre volte per mano di
Stati autoritari. Così accade, ad esempio, in Asia Centrale, dove il problema è rappresentato
dai regimi autoritari e il gruppo maggiormente esposto è quello dei musulmani, che
subiscono persecuzioni estreme in Paesi come il Tagikistan o l’Azerbaigian. La vita
in queste zone per loro è davvero difficile, come lo è anche per gruppi musulmani
minoritari, come ad esempio per gli sciiti che vivono in Pakistan, oppure per i musulmani
ahmadi: probabilmente la vita per loro in questo Paese è ancora peggiore di quanto
non lo sia per le minoranze cristiane pakistane.
D. – E in Africa quali segnali ci sono?
R. – Africa is in one sense a good-news-story. There are not many good-news-stories…
In un certo senso, l’Africa rappresenta una buona notizia. Non ci sono molte storie
che contengano buone notizie. In alcune parti dell’Africa, come nella Repubblica Centrafricana
e nel nord della Nigeria, operano gruppi violenti islamici, gruppi jihadisti di cui
Boko Haram è il più conosciuto, con storie drammatiche come il rapimento delle 200
studentesse ed altri tragici avvenimenti. Però, come risulta chiaramente dal Rapporto,
la grande maggioranza di africani vive una condizione di collaborazione religiosa
e non in una condizione di confronto religioso. In un certo senso, l’Africa è diventata
un faro per il mondo, perché insegna a vivere insieme in un clima di collaborazione.
E la stessa cosa si può dire anche per l’America Latina, anche se ci sono sacche di
discriminazione. In Venezuela, alcuni gruppi religiosi subiscono il controllo da parte
dello Stato, ma in generale, attraversando l’America Latina, possiamo vedere un quadro
religioso diverso: non solo cattolici, ci sono molti evangelici, molti protestanti
– nei Caraibi, per esempio, e in generale in America Latina – che convivono serenamente.
D. – Nel giorno della commemorazione dei defunti, Papa Francesco ha pregato per i nostri “fratelli e sorelle uccisi perché cristiani”. Qual è la sua speranza per il futuro?
R. – I think the hope for the future lies in religious leaders like Pope Francis…
Penso che la speranza per il futuro sia riposta in leader come Papa Francesco che
levano la voce per denunciare le persecuzioni. La settimana scorsa, 120 imam hanno
scritto una lettera aperta al capo del sedicente Stato islamico in Iraq, ribadendo
come l’operato dei jihadisti sia assolutamente inaccettabile. Per me, tutto ciò rappresenta
un esempio: abbiamo bisogno di molte più iniziative di questo tipo da parte dei capi
religiosi. Come fa la Chiesa cattolica. Spero che questo Rapporto rappresenti un esempio
di come la Chiesa parli delle necessità di altri gruppi religiosi, denunciando che
se uno dei nostri fratelli è oppresso, questo colpisce tutti noi nella stessa maniera.
A testimoniare la realtà irachena è Pascale Warda, fondatrice della Società irachena per i diritti umani e già ministro per le Politiche migratorie di Baghdad, intervistata da Helene Destombes:
R. – Les Chrétiens sans protection, ils voient qu’il n’y a pas d’autre solution
que…
I cristiani lasciati senza protezione non hanno altra soluzione che la fuga, ma questo
non è giusto. Siamo parte di un tutto che si chiama Iraq. Ci sono anche altri che
sono presi di mira, ma sicuramente i cristiani sono stati quelli maggiormente colpiti,
assieme agli yazidi che sono i membri di un’altra religione molto antica. Dunque,
queste due minoranze – se così si possono definire popoli originari di questo Paese,
popoli che hanno radici antichissime – sono senza alcuna protezione, perché a Mosul
sono stati consegnati di fatto nelle mani dei jihadisti, mentre nella Piana di Ninive
sono stati abbandonati alle aggressioni dei jihadisti. È avvenuto a Qaraqosh o nei
dintorni di Mosul…
D. – Con la sua Associazione, lei lavora per venire in aiuto delle minoranze e dei molti rifugiati che fuggono davanti a gravi violenze. Quali sono, oggi, le loro condizioni di vita?
R. – Très grave, leur condition est vraiment inhumaine…
Molto gravi. La loro condizione è veramente disumana. Qualche giorno fa sono stata
nel campo che accoglie i profughi cristiani e quelli yazidi, che vivono ancora peggio:
non hanno delle vere tende sotto le quali rifugiarsi, ma protezioni di fortuna, ci
sono persone che vivono sotto un albero, sui marciapiedi, sulla strada. È veramente
disastroso quello che si vede. Bisogna far fronte a tutto ciò, ma è necessaria un’organizzazione
a livello internazionale. Le stesse Nazioni Unite svolgono molte attività, eppure
non è sufficiente e non riescono a fare più di quello che già fanno. Il problema numero
uno è quello degli alloggi. Queste persone sono totalmente esposte alla pioggia e
presto alla neve. Quindi, è necessario che si forniscano almeno i ricoveri, dei prefabbricati,
dei caravan... Io stessa ho presentato all’ambasciata di Francia un progetto che riguarda,
appunto, i caravan. Bisogna potervi installare le persone perché possano stare al
caldo e avere un minimo di dignità umana.
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