2014-11-09 09:00:00

Religioni e relazioni internazionali, un "atlante teopolitico"


Lo scenario politico e sociale globale è oggi in profonda trasformazione e il fenomeno religioso suscita crescente interesse tra gli analisti di politica internazionale. Esso è infatti largamente considerato oggi un elemento chiave per una più ampia interpretazione degli eventi che hanno ridisegnato il quadro geopolitico mondiale. Da questa considerazione parte il libro di Pasquale Ferrara: “Religioni e relazioni internazionali. Atlante teopolitico", edito di recente da Città Nuova. Diplomatico di carriera e attualmente segretario generale dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze, oltre che docente alla Luiss di Roma, l'autore offre una lettura originale e documentata dell’incidenza delle religioni nelle relazioni internazionali attuali. In positivo, emerge ad esempio la loro capacità di promozione di forme di cooperazione internazionale tra Stati e attori non governativi internazionali. L'autore ne parla nell’intervista di Adriana Masotti:

R. – Certamente, le religioni hanno avuto un ruolo fondamentale nelle relazioni, negli incontri, anche talvolta negli scontri tra i popoli. Ma quello che sta accadendo oggi è qualcosa di molto diverso: gli analisti di politica internazionale si sono resi conto che il sistema internazionale non funziona solamente sulla base di quello che sono il potere militare e il potere economico. Esistono altri elementi che sono fondamentali nelle relazioni tra gli Stati che sfuggono da questa logica e che invece si basano su elementi identitari. Ovviamente, il primo elemento identitario è quello della religione. L’altro punto che differenzia l’analisi contemporanea rispetto al passato è che le religioni non sono sempre e solamente considerate fattori negativi. Per esempio, si dice che quando la religione entra in gioco, i conflitti diventano più radicali: in realtà, la religione svolge un ruolo anche nella creazione di un’entità collettiva planetaria. Quindi, per la prima volta si scopre anche che le religioni hanno un ruolo fondamentale nella legittimazione di un ordine internazionale condiviso e non imposto dall'alto o da alcune aree del pianeta come nel caso della globalizzazione.

D. – Inutile nascondere che quando si parla di religioni, di relazioni internazionali, di conflitti, si pensa subito all’islam e al ruolo che sta giocando in questi ultimi anni, non solo all’interno del mondo arabo, ma anche tra mondo arabo ed Occidente…

R. – Innanzitutto, anche la terminologia va corretta. Noi spesso utilizziamo questa contrapposizione tra islam, che è una religione universale e che non è necessariamente nordafricana e mediorientale – pensiamo, per esempio, all’Indonesia – ma, a parte questo, parliamo di islam da una parte e di Occidente dall’altra. All’interno dell’Occidente c’è la cristianità, senz’altro, ma pure l’Occidente è una realtà plurale, anche dal punto di vista delle culture. Dopodiché, il discorso riguarda il rapporto tra la religione e la guerra, nel caso in particolare dell’Isis, cioè: le religioni sono “motori di guerra”? E nel caso dell’islam radicale la religione è la motivazione fondamentale del conflitto? Io su questo ho moltissimi dubbi, perché anche nel caso del Califfato noi vediamo che sono all’opera forze che hanno poco a che vedere con la religione. Infatti, l’obiettivo non è tanto quello di creare una dimensione di islam "transnazionale", ma quello di creare una realtà politica, statuale addirittura, e questo ha a che fare con il potere, non ha a che fare con la religione.

D. – Potrebbe citarci casi in cui proprio l’appartenenza alle religioni ha aiutato, ad esempio, alla ricostruzione della pace?

R. – Sicuramente, le religioni hanno avuto un ruolo fondamentale in alcuni conflitti subnazionali, però dobbiamo metterci d’accordo: noi non possiamo pretendere che le religioni risolvano i conflitti, è la politica che risolve i conflitti. Quello che è fondamentale è ascoltare la voce delle religioni quando tendono a una logica compaginativa e non conflittuale.

D. – Che cosa le religioni potrebbero fare di più per influire positivamente sulle relazioni tra i popoli e gli Stati?

R. – Le religioni, secondo me, hanno un ruolo centrale nell’indicare quali siano le questioni strategiche. Per esempio: la questione dello sviluppo, o del modello di sviluppo, la questione su come affrontare insieme le malattie endemiche in Africa, la questione del rispetto reciproco tra le identità. Quando ci sono vertici del G8, ma anche quelli del G20, è interessante che i leader delle maggiori religioni del mondo si riuniscano qualche giorno prima per discutere esattamente degli stessi temi che sono nell’agenda del vertice internazionale, per fare anche proposte. Non a caso, anche i governi cominciano a vedere in questo delle potenzialità positive.








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