2014-11-11 13:55:00

Palestinesi ricordano Arafat nel 10.mo della morte


In un clima di forte tensione oggi i palestinesi celebrano il decimo anniversario della morte di Yasser Arafat, storico leader dell’Olp. Stamani un giovane palestinese è morto in seguito alle ferite, dopo essere stato colpito dall'esercito israeliano nel corso di scontri nei pressi nel campo profughi di Aroub, a Nord di Hebron. Intanto, il presidente Abu Mazen accusa gli estremisti di Hamas di voler impedire la ricostruzione di Gaza e l’unità palestinese. Un esempio, questo, di come oggi il fronte palestinese sia fortemente diviso. Quanto ha influito su questa situazione la politica di Arafat? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, analista politico del Corriere della Sera:

R. – L’errore che Arafat ha compiuto, e che oggi vediamo come conseguenza della sua politica, è stato quella di non creare una eredità strutturale al suo posto. C’è soltanto Mahmud Abbas-Abu Mazen – persona di grande valore, di grande serietà, uno studioso – che non ha però né il carisma, né la grinta e neanche il coraggio nel prendere delle decisioni assolutamente imprevedibili come sapeva fare invece Arafat. Oggi paradossalmente il fronte palestinese non è diviso soltanto in due parti, ma forse addirittura in tre: abbiamo la componente laica, cioè la componente storica dell’Olp; poi abbiamo la componente di Hamas, che è quella integralista, che ha vinto le elezioni del 2006, e che continua ad avere un forte seguito in Palestina; e poi abbiamo gli infiltrati, che sono sunniti, estremisti contrari all’Olp, ma anche ad Hamas. Ora l’Arafat inventivo, che sapeva cogliere con una rapidità incredibile ogni situazione, forse oggi si sarebbe inventato qualcosa, ne era capace. “Ha una straordinaria saggezza”, gli aveva riconosciuto perfino l’ex presidente israeliano, Shimon Peres; a volte, però, aveva anche una ambiguità che – sempre per usare le parole di Peres – si avvicinava anche a una certa “incapacità” di affrontare davvero le cose. La sua saggezza, però, lo aveva sempre guidato e forse oggi un Arafat in sella qualche cosa potrebbe fare.

D. - Sul fronte del negoziato con gli israeliani: c’è qualcosa che lui avrebbe potuto ottenere?

R. - Uno dei problemi più importanti è naturalmente Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese. Su questo punto ci fu una proposta fatta da Barak sia a Camp David e sia – subito dopo – a Taba, ma Arafat la aveva rifiutata! Ecco, Arafat – ad un certo punto – cominciò a dire di no a tutto, anche se l’accordo era praticamente fatto. E io devo dire che più che a Camp David, era cosa fatta a Taba: ma ormai Arafat era avvitato in una certa sua mania di persecuzione e preferì – e questo fu un gravissimo errore – invece di continuare a trattare e a discutere, benedire l’inizio della Seconda Intifada. Vorrei solo aggiungere una cosa: quando Arafat comincia a rendersi conto che il processo di pace diventava sempre più difficile da realizzare? Il giorno in cui fu ucciso il primo ministro israeliano Rabin. Da quel giorno, era il mese di novembre 1995, Arafat cominciò a perdere fiducia su quella che era stata la sfida più grande, quella cioè finalmente di aver accettato lo Stato di Israele e di aver stretto la mano al suo primo ministro.

D. - Quello che preoccupa oggi l’Occidente è l’avanzata del sedicente Stato Islamico. Un fronte unito palestinese guidato da Arafat, oggi cosa avrebbe potuto fare?

R. - Arafat avrebbe cercato di allearsi con Hamas contro lo Stato Islamico, contro queste infiltrazioni, a costo di dover concedere qualcosa. E in questo caso avrebbe potuto vendere anche questa proposta al governo di Israele. In effetti, se andiamo a ragionare su quello che è accaduto a Gaza, è vero che Netanyahu ha scatenato questa guerra, però si è ben guardato dall’annientare Hamas; anzi ha sempre detto l’esatto contrario, proprio perché anche Netanyahu ha timore di queste infiltrazioni di terroristi, non soltanto nel mondo palestinese, ma anche nello stesso Israele.








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