2014-11-19 14:07:00

Mons. Perego e Ketelers: costruire con immigrati futuro comune


Prosegue a Roma, presso la Pontificia Università Urbaniana, il VII Congresso Mondiale della Pastorale dei Migranti sul tema “Cooperazione e sviluppo nella pastorale delle migrazioni”. Presente all’incontro anche mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei, che – al microfono di Gabriele Beltrami – parla dei migranti come partner per lo sviluppo della comunità ecclesiale e della società:

R. – Il fatto che i migranti siano partner significa riconoscere la soggettività dei migranti, non solo nel loro percorso migratorio, delle loro scelte, ma anche nella costruzione della città, di una comunità, e questo significa la valorizzazione, il riconoscimento delle persone che sono presenti e provengono da diverse nazionalità come soggetti con cui costruire un percorso sociale, economico, politico e anche ecclesiale. E questo è un processo, un cammino, che occorre fare insieme. In questo senso allora parlare di partner significa riconoscere le persone, non semplicemente considerarle oggetto di un’attenzione ma un soggetto con cui camminare insieme nella costruzione di una realtà nuova.

D. – La Chiesa italiana si sta muovendo in questo senso anche con progetti specifici, con un’attenzione rinnovata a promuovere quello che il migrante può fare nella società?

R. – Certamente, anche l’attenzione alle comunità cattoliche non di lingua italiana va in questa direzione. La valorizzazione di esperienze, anche presbiteriali, di 1.500 sacerdoti che vengono da altre nazioni, va in questa direzione. Ma va in questa direzione anche la promozione dell’associazionismo immigrato, la promozione degli strumenti di comunicazione all’interno delle comunità, come anche la campagna a cui abbiamo aderito per la cittadinanza e l’estensione della cittadinanza come un dono da cui costruire da subito una città diversa e anche l’estensione del diritto di voto amministrativo ai migranti, come anche la battaglia perché il servizio civile sia una possibilità anche dei giovani immigrati presenti in Italia.

E’ intervenuto al Congresso anche Johan Ketelers, segretario generale dell’International Catholic Migration Commission (Icmc), che ha sottolineato le sfide poste dall’attuale fenomeno migratorio:

R. – E’ una sfida perché dobbiamo cambiare le abitudini, la mentalità. Si tratta di persone che vengono perché non hanno trovato un altro mezzo per sopravvivere o per migliorare la loro vita. Una cosa che tutti desideriamo. Perché, allora, non organizzarci perché questi viaggi avvengano in un altro modo? Bisognerebbe dare la possibilità a queste persone di lavorare nel proprio Paese di origine e poi, se emigrano, trovare i mezzi per stare insieme e costruire un futuro.

D. – Lei ha connesso in maniera forte sviluppo e migrazione, per il nostro sviluppo comune…

R. - Non possiamo guardare ai migranti come oggetti della nostra carità. Loro sono i soggetti del nostro futuro comune. Dunque, c’è una responsabilità che dobbiamo condividere con loro. Non siamo noi che facciamo le cose per loro che arrivano. Integrazione non vuol dire che noi diamo loro un certo spazio, no. Vuol dire che dobbiamo essere inclusivi in tutte le attività che abbiamo a livello della parrocchia e di tutte le strutture che esistono per offrire uno spazio di dialogo, offrire uno spazio che apre potenzialità per i migranti ma anche per noi. Abbiamo bisogno di loro! Perché non vedere le persone che vengono da noi in un altro modo? Quanti italiani sono emigrati negli ultimi anni perché non hanno trovato lavoro qui? E’ la stessa cosa.

D. – Le tensioni che colpiscono i Paesi di accoglienza dei migranti, ci interpellano …

R. – Sì, perché in questi tempi siamo in un mondo che vive con paura. Viviamo la paura in tanti modi e dunque l’incertezza che porta l’arrivo di queste persone sta crescendo e tutti noi cerchiamo la sicurezza nella stabilità. Speriamo di conservare la nostra tranquillità ma non è così che il mondo cresce. Il mondo cresce attraverso le relazioni, l’unità della gente che si ritrova. Adesso la solidarietà non si fa più a 7, 8 mila chilometri da qui, la solidarietà si fa qui. Le persone sono presenti davanti a noi. Ma è difficile perché dobbiamo cambiare mentalità e molto.








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