2014-11-20 13:39:00

Cancellato fondo aiuti alimentari. Caritas: “Serve reddito minimo”


Scalpore e perplessità per la cancellazione del fondo nazionale per gli aiuti alimentari dalla finanziaria 2015 al vaglio del Parlamento italiano. Le risorse, che ammontavano a 10 milioni di euro, saranno sostituite dall’attivazione di un nuovo fondo europeo. Tuttavia, alla luce di un aumento del 20% della povertà assoluta stimato dall’Istat, resta l’allarme per la mancanza di politiche strutturali di contrasto alla povertà.  Marco Guerra ne ha parlato con Francesco Marsico, responsabile dell’area nazionale Caritas:

R. - Questa cifra era molto importante soprattutto nell’ultima legge di stabilità in previsione di una potenziale interruzione degli aiuti dovuta al passaggio da un programma europeo che scadeva proprio nel 2013 e l’avvento di un nuovo fondo – il Fead – che doveva essere però implementato e applicato nei diversi Paesi europei. Quindi la preoccupazione di una eventuale interruzione degli aiuti alimentari aveva giustamente suggerito la creazione di un fondo specifico nazionale, proprio in previsione della legge di stabilità. È evidente che la partenza del nuovo fondo ha risolto la questione dell’interruzione degli aiuti in questo ambito, però il problema complessivo di questa legge di stabilità non è solo l’assenza di questi dieci milioni su quel capitolo di spesa, ma una presa in carico complessiva rispetto alla drammatica situazione del Paese che l’Istat denuncia, con una povertà assoluta - che ormai veleggia verso il dieci percento - e una legge di stabilità che vede sostanzialmente ripetuti i capitoli di spesa, anzi in questo caso, cancellato un capitolo di spesa sugli aiuti alimentari.

D. - Infatti gli ultimi dati Istat di luglio parlano di sei milioni di poveri assoluti in Italia con un incremento del 20 per cento in un anno degli indigenti. In questa morsa della crisi quali sono le politiche messe in campo dall’Italia?

R. - Cerco di andare in ordine. Prima questione: legge di stabilità. Cosa c’è di nuovo? Purtroppo nella legge di stabilità non c’è molto, anzi. L’unica voce di bilancio che sembra crescere è quella di una previsione riguardo agli aiuti alle famiglie in un fondo indifferenziato di cui per adesso non ne è chiarissimo l’utilizzo. Il grosso problema in un confronto internazionale, in particolare europeo, è che in Italia manca una misura che fronteggi la povertà; in altri termini, in tutti i Paesi europei, dell’Europa cosiddetta a “12”, esistono redditi minimi di inclusione o variamente definiti che intervengono nella misura in cui le famiglie hanno perso il lavoro, non hanno contributi specifici per la disoccupazione. Quindi queste vengono aiutate con un reddito e misure di inclusione che li possano tirare fuori da una condizione di povertà. In Italia questo non esiste. Esiste soltanto la cosiddetta “social card” che però è una misura che colpisce soltanto le famiglie povere con un minore di tre anni e con un anziano ultrasessantacinquenne.

D. - Quindi sono molte le famiglie che rimangono scoperte da questi aiuti. Voi cosa proponete?

R. - È questo il nodo. La gran parte delle famiglie non è tutelata da questo rischio della povertà. Noi come Caritas italiana partecipiamo “all’Alleanza contro la povertà”, vale a dire un insieme di forze sociali e anche sindacali che propone un reddito di inclusione, vale a dire, risorse e inserimento sociale, lavorativo, formazione … Quindi una presa in carico effettiva delle famiglie non soltanto dei soldi, ma soprattutto una comunità che si fa carico di pensare ad un futuro per queste persone in difficoltà. Ma questo, evidentemente non basta. La Chiesa  italiana è in prima fila sul tema del contrasto alla povertà attraverso forme diverse che sono quelle più tradizionali: gli aiuti alimentari, ma soprattutto l’ascolto delle famiglie e ovviamente il tentativo di offrire, per quanto possibile, percorsi di uscita da questa condizione.

D. - La Caritas è in prima linea nell’emergenza povertà. Di cosa necessitano questi nuovi poveri che si affacciano alle vostre strutture?

R. - La drammatica emergenza degli ultimi anni è la famiglia. La povertà tradizionale quella relativa alle povertà cosiddette “estreme”, quindi senza dimora o situazioni molto particolari, diventa marginale … Il problema sono ora “le famiglie normali”, quelle che magari avevano un reddito basso ma che ce la facevano e che sotto l’onda della crisi hanno perduto il lavoro o, se ce l’hanno, è talmente discontinuo da esporli a rischio di povertà. Chiaramente di fronte a queste famiglie l’aiuto alimentare, della mensa, è parziale, però, è evidente che di fronte a una famiglia che si trova in queste condizioni, anche un aiuto materiale immediato dà speranza e soprattutto non interrompe una relazione con la propria comunità di riferimento. Le risorse della Conferenza episcopale italiana, il cosiddetto otto per mille, sono state particolarmente utilizzate per il tema povertà, anche quella di tipo alimentare, nell’ultimo anno. Quindi lo sforzo per le Caritas diocesane e per le diocesi italiane è massimo e continua in questo senso. Credo che questo sforzo debba attraversare tutta la comunità nazionale. Quindi ogni realtà associativa, imprenditoriale deve domandarsi: "Cosa posso fare in questo tempo?" Questo per dare una risposta anche parziale, minima, simbolica di fronte al problema della crisi.








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