2014-11-21 15:39:00

Card. Vallini: parrocchie romane aperte a cultura dell'incontro


Dopo i fatti di Tor Sapienza e il conseguente appello di Papa Francesco ad assumere come priorità quella che ormai costituisce un’emergenza sociale, il cardinale vicario, Agostino Vallini, ha inviato una lettera ai parroci della diocesi di Roma e ai membri dei Consigli pastorali parrocchiali. Obiettivo è quello di diffondere la “cultura dell’incontro”. Il servizio di Davide Dionisi:

L’invito del Papa di domenica scorsa, pronunciato durante l’Angelus, è stato prontamente raccolto dalla sua diocesi e il vicario, il cardinale Agostino Vallini, ha preso carta e penna e ha scritto a tutti i parroci spiegando che dopo i fatti di Tor Sapienza e in uno scenario di giustizia negata è importante impegnarsi affinché cresca, assieme alla giustizia e alla legalità, la cultura della solidarietà, dell’accoglienza e dell’inclusione sociale. Così come è importante adoperarsi per abbattere muri e costruire ponti. Ma come intende rispondere concretamente la diocesi di Roma all’appello lanciato da Papa Francesco? Ce lo ha spiegato lo stesso cardinale Agostino Vallini:

R. – Senz’altro, con un rinnovato impegno nell’essere presente soprattutto nei contesti più problematici, più difficili, più sofferti. In verità, l’incontro con le realtà locali normalmente avviene già, ma certo il Santo Padre ci incoraggia a intensificare con una più consapevole responsabilità che abbiamo. E' proprio la Chiesa in uscita, di cui parla tanto insistentemente Papa Francesco, che muove – in particolare i laici – a questa presenza nel sociale per costruire una cultura dell’incontro. Ci rendiamo conto che si tratta di una grande sfida, perché Roma è una realtà profondamente cambiata: anche gli stessi nostri quartieri sono realtà con tanti problemi. E quanto è successo a Tor Sapienza non riguarda soltanto il rapporto con il Centro di accoglienza, che forse è stato l’occasione, ma il malessere che vive quel quartiere insieme ad altri quartieri, di quelle persone che si sentono abbandonate dalle istituzioni perché né i servizi sociali, né attenzioni, né esperienze di rispetto della vita personale e familiare avvengono. Allora, ecco che è come un segno che si è voluto dare, proprio per prendere maggiore consapevolezza della responsabilità di tutti. E noi cattolici, cristiani, dobbiamo sapere che non si può stare in finestra e il Papa ce l’ha ricordato e dobbiamo darci da fare.

D. – Le tensioni tra residenti e immigrati devono diventare una priorità perché costituiscono oggi un’emergenza sociale. Come si è arrivati, secondo lei, a questo?

R. – Siamo arrivati a questo perché sono quartieri abbandonati. Cioè, lì la presenza delle istituzioni non si avverte. Quando la prostituzione dilaga, la vendita e lo spaccio della droga sono di tutte le ore, quando non c’è l’illuminazione, quando la gente non si sente sicura, è chiaro che se poi c’è una presenza di persone che vengono da fuori e magari qualcuno non equilibrato può esprimere con dei gesti e delle manifestazioni che la gente non gradisce, poi certo esplodono queste forme. Ma la gente stessa l’ha ripetuto più volte in questi giorni, non è gente razzista, non sente di avere disprezzo verso gli altri, soprattutto perché proprio in quel Centro di accoglienza si accolgono giovani, ragazzi, soli, disperati, senza famiglia, che vengono da esperienze durissime – la traversata del deserto, la paura del Mar Mediterraneo … C’è stato un giovane che ha detto: “Ma come posso essere io nemico delle persone che ci accolgono? Sono sorpreso di questo. Io spero di trovare in Italia la mia seconda patria”. Allora, tutto questo dice che certamente è un momento particolare, da non sovraesporre, direi io, al di là del fatto doloroso che è capitato. Però, è un segno che è necessario lavorare per una cultura dell’incontro, che è un po’ più difficile rispetto a delle dichiarazioni che in questi giorni tutti vanno facendo. La cultura dell’incontro è un lavoro paziente, quotidiano, in cui le persone si ritrovano, in cui ognuno esprime la propria posizione, si è aperto al confronto, all’ascolto e poi certo anche a elaborare proposte che possano – e devono – essere date agli organi competenti, perché sono le istituzioni che devono intervenire.








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