2014-11-22 12:41:00

Francesco: rompere isolamento per chi soffre di autismo


L’autismo è uno “stigma” sociale, che condanna molte famiglie a un isolamento che va spezzato. È l’appello che Papa Francesco ha rivolto a “istituzioni e governi” nell’accogliere in Aula Paolo VI diverse centinaia di persone, in maggioranza bambini, affette da questa patologia. L’udienza ha concluso la 29.ma Conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Lo chiamano “spettro” il complesso di disturbi che patisce chi è affetto dall’autismo. Ma spettro è anche quello che si agita in centinaia di migliaia di genitori che sopportano una pena infinita e normalmente invisibile. Spettro sono le famiglie fantasma che vivono l’autismo della solidarietà, troppo sole nell’accudire i propri figli, prigionieri di un labirinto che spegne la luce di occhi che dovrebbero brillare e rende sordo il tatto del cuore, quello che un bimbo usa per parlare quando ancora non sa parlare con mamma e papà.

Papa Francesco usa quel tatto, il suo più naturale e intimo davanti a chi soffre, all’inizio e alla fine della sua presenza in Aula Paolo VI, cercando in mezzo alla falange di braccia protese verso di lui soprattutto le mani più piccole, le teste più piccole, anche se non reagiscono alle sue carezze che invece sciolgono lacrime più grandi di chi è a fianco di questi piccoli. Ma ci sono anche volti sui quali la malattia ha scritto una storia di anni e per questo universo di fragili combattenti il Papa diventa una voce forte che infonde coraggio, quella di un padre che può farsi ascoltare, come dice, da “governi e istituzioni”:

“È necessario l’impegno di tutti per promuovere l’accoglienza, l’incontro, la solidarietà, in una concreta opera di sostegno e di rinnovata promozione della speranza, contribuendo in tale modo a rompere l’isolamento e, in molti casi, anche lo stigma che gravano sulle persone affette da disturbi dello spettro autistico, come spesso anche sulle loro famiglie”.

È uno spettro l’autismo, Papa Francesco lo chiama “una croce”. Perché l’autismo ancora oggi è una patologia, riconosce, “che molte volte stenta non solo ad essere diagnosticata, ma – soprattutto per le famiglie – ad essere accolta senza vergogna o ripiegamenti nella solitudine”. Dunque, l’appello di Papa Francesco è una chiamata alla prossimità soprattutto per le comunità cristiane. Chi fa i conti con lo spettro dell’autismo ha bisogno di trovare, afferma, “un accompagnamento non anonimo e impersonale”:

“Nell’assistenza alle persone affette dai disturbi dello spettro autistico è auspicabile quindi creare, sul territorio, una rete di sostegno e di servizi, completa ed accessibile, che coinvolga, oltre ai genitori, anche i nonni, gli amici, i terapeuti, gli educatori e gli operatori pastorali. Queste figure possono aiutare le famiglie a superare la sensazione, che a volte può sorgere, di inadeguatezza, di inefficacia e di frustrazione”.

Prima di tornare a comunicare con il sorriso e le carezze, Papa Francesco ringrazia gruppi parrocchiali e Associazioni che vivono ogni giorno ciò che dichiarano le magliette che in tanti indossano in Aula Paolo VI: “Io amo il bambino autistico”. E incoraggia il lavoro degli studiosi e dei ricercatori, “affinché – dice – si scoprano al più presto terapie e strumenti di sostegno e di aiuto per curare e, soprattutto, per prevenire l’insorgere di questi disturbi”.

Numerose le famiglie con ragazzi e bambini autistici, che nell’Aula Paolo VI hanno partecipato all’incontro con Papa Francesco. Ascoltiamo alcune voci raccolte da Marina Tomarro:

R. - È una grande emozione, un grande avvicinamento perché ci sentiamo soli in questi grandi battaglie.

R. - La Chiesa cattolica focalizza la sua attenzione sull’autismo, riconoscendo che questo disagio ha una sua specificità, richiede approfondimenti studi. Bisogna che ci rendiamo consapevoli – tutti - della presenza di questi ragazzi - che sono tanti nella nostra società - che vanno aiutati ad integrarsi.

R. - È molto importante perché anche i nostri bambini devono avere un posto in mezzo alle persone e che tutti sappiano che se un bambino ha dei problemi merita comunque di stare in mezzo agli altri. Questo è un inizio importante.

D. - Il Papa nel suo discorso ha invitato tutti a collaborare. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. - Deve essere una cosa sinergica; devono essere aiutati questi genitori, perché passando attraverso l’Aula Paolo VI, ho visto dei bambini che si trovano in condizioni peggiori rispetto a mio nipote. Ed è una cosa molto brutta, perché non sempre si capisce, soprattutto quando siamo presi dai problemi. Quindi bisognerebbe sensibilizzare tutti, perché l’aiuto a mio nipote è stato dato dai fratellini e dalle scuole.

D. - Le istituzioni che cosa dovrebbero fare di più per voi?

R. - Darci delle strutture dove poterli intrattenere. Adesso per loro non c’è niente. C’è solo la grande famiglia e basta.

R. - Le istituzioni si disinteressano dei ragazzi autistici a partire dalla fine della scuola elementare. Li c’è qualche tipo di assistenza per i bambini. Finita la scuola elementare, e quando va bene alla scuola media, le terapie o comunque interventi per le attività per questi ragazzi, dal pubblico finiscono. Da quel momento in poi le famiglie sono sole. In questo grande vuoto si inseriscono le associazioni come la nostra “Divento grande onlus” che organizzano attività di sostegno, per questi ragazzi. Siamo orgogliosi di avere figli speciali e quindi ci mettiamo la passione.

R. - Noi siamo stati totalmente abbandonati; non abbiamo terapie e quelle che ci sono, sono tutte private. Quei pochi soldi che ci danno in assegni di invalidità non bastano neanche per coprire i costi delle terapie che dobbiamo affrontare. Ho tre figli: due autistici e per loro spendiamo come minimo 1200 euro in terapie private al mese. Adesso piano piano, insieme alle associazioni sul territorio nazionale, stiamo cercando di muoverci ma la maggior parte di noi è in queste condizioni.








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