2014-11-22 10:37:00

Parroco Infernetto: immigrati, paure infondate. Chiesa fascia ferite


Non si attenua la tensione all’Infernetto, alla periferia di Roma, dopo il trasferimento di alcuni giovani immigrati, prima residenti a Tor Sapienza. Nel pomeriggio è in programma una manifestazione di protesta contro la presenza dei ragazzi. Sulla situazione abbiamo sentito il parroco della Chiesa di San Tommaso Apostolo all’Infernetto, don Antonio D’Errico. L’intervista è di Sergio Centofanti:

R. – E’ una situazione di attesa perché dalla decisione del sindaco Marino di mandare una parte di questi ragazzi minori nel nostro territorio, in questo centro di accoglienza, dalla protesta che ne è venuta dai cittadini, ancora non si sa se la loro collocazione da noi sarà temporanea oppure a lungo termine. E’ una situazione che in questo momento ha un po’ agitato gli animi, anche quelli dei cittadini del nostro quartiere.

D. – C’è stato un incontro con questi ragazzi?

R. – Ho fatto una visita insieme al parroco di San Corbiniano, incontrando questi ragazzi, facendoci conoscere, parlando soprattutto con gli operatori a cui sono stati affidati, cercando di farci spiegare un po’ cosa noi potessimo offrire loro.

D. – Di cosa hanno bisogno?

R. – Ma … sostanzialmente, ci è stato detto che essendo venuti via abbastanza in fretta da quel centro, hanno bisogno di vestiario e a questo noi cerchiamo di provvedere.

D. – Che ragazzi sono?

R. – Sono ragazzi ormai grandi, forse viaggiano sui 16, 17, anche 18 anni, che sono lì … non saprei neanche io … ad attendere la soluzione della loro situazione. Erano lì, facevano i loro servizi per questa casa, riassettavano un po’ le loro cose, si stavano appena sistemando – da quello che percepivo sono un po’ spaesati …

D. – Hanno storie difficili, questi ragazzi …

R. – Sicuramente alle spalle hanno storie difficili. Io non ho potuto interrogarli, ho soltanto salutato qualcuno di loro, cordialmente; sono stato ricambiato in questo saluto … Ma nei loro volti, nelle loro situazioni ovviamente si leggono, si percepiscono momenti di grande sofferenza.

D. – Che cosa può fare la Chiesa per loro?

R. – La Chiesa per loro può essere innanzitutto come il Buon Samaritano che si ferma, scende da cavallo e fascia le ferite: quelle immediate. Poi, certamente, la Chiesa potrà dialogare anche con i cittadini, con le istituzioni e quant’altro ma soprattutto sono occasioni nelle quali manifestare ciò che veramente la Chiesa è.

D. – Proprio ieri il Papa ha parlato di accoglienza di questi nostri fratelli più sfortunati …

R. – Sì: certamente la voce del Papa rimane sempre, per noi, un faro, una luce e soprattutto un’indicazione chiara sul da farsi.

D. – Questa domenica risuona il Vangelo del Giudizio finale in cui Gesù dice: “Ero straniero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito …”.

R. – E questa certamente è una parola anche più autorevole di quella del Papa alla quale un cristiano non può – dico io – sottrarsi. Certamente, ci torna ovvia ma soprattutto stimolante per noi, oggi, per una situazione come questa.

D. – Cosa si può dire a quanti sono preoccupati per questa presenza?

R. – Bisogna saper leggere quello che sta accadendo; leggerlo veramente a 360° e non soltanto nell’ottica di un eventuale timore o paura infondati, perché fatti non ce ne sono se non – ovviamente – queste scaramucce interne tra questi ragazzi che, come tutti i nostri adolescenti, hanno le loro dinamiche e quindi vanno colte in questo senso.

D. – Quale sarà il futuro di questi ragazzi?

R. – Penso che sia molto legato alla Cooperativa alla quale sono stati affidati, che – a mio avviso – deve farsi carico di un programma, di un progetto da proporre in cui coinvolgere questi ragazzi perché non appaiano come ragazzi abbandonati a se stessi, ma si sappia cosa proporre loro, cosa ovviamente far fare loro. E poi, la legge farà il resto. La cittadinanza ci deve mettere, ovviamente, il suo apporto, figuriamoci quindi ovviamente quanto debbano farlo le nostre autorità e istituzioni politiche.

D. – Quale l’augurio?

R. – Certamente mi auguro un abbassamento di tensione in chi in questo momento ha paura. Io mi auguro che questi ragazzi possano trovare non soltanto accoglienza in un Paese in cui credono, perché altrimenti non si sarebbero mai mossi dalle loro case; ma possano trovare soprattutto anche un’accoglienza personale presso le famiglie. Quello che potrebbe essere un mio suggerimento in questo momento è che si possa proporre un’accoglienza personale presso famiglie affidatarie.








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