2014-11-29 16:20:00

Raccolta fondi dell'Aispo per un ospedale in Sud Sudan


L’Associazione italiana per la solidarietà tra i Popoli, Aispo, ha lanciato una campagna solidale a sostegno dell’Ospedale comboniano di Wau, in Sud Sudan. L’ospedale è diretto da suor Maria Martinelli, medico chirurgo di origini trentine, da sei anni nel Paese africano dove altissima è la mortalità infantile, 68 su mille, come frequente è la morte per parto: 2054 donne non sopravvivono su 100 mila. Tante le necessità della struttura ospedaliera per rispondere sempre meglio ai bisogni della popolazione locale. Da qui la campagna di raccolta fondi tramite sms al numero 45595 fino al 30 novembre: al microfono di Adriana Masotti, suor Maria descrive la sua attività:

R. – Sì, è un ospedale generale, però vista la situazione del Sud Sudan, la nostra preoccupazione principale è quella di aiutare in modo particolare le donne e i bambini. Perché la mortalità infantile, sotto i cinque anni, e la mortalità materna legata all’evento del parto, in questo Paese è una delle più disastrose del mondo.

D. – Voi vi imbattete, oltre che in tanta povertà e ai problemi connessi, anche in problemi culturali, nel vostro lavoro …

R. – Sì, a volte sì. Soprattutto l’evento della maternità è legato a certe tradizioni, per cui a volte ci sentiamo abbastanza impotenti, oppure dobbiamo combattere a livello verbale molto a lungo con le famiglie che, per esempio, non accettano di fare un cesareo per salvare la vita del bambino o della mamma. Di solito riusciamo a convincerli, però in certi casi sono delle perdite di tempo inutili e lunghissime, perché ci sono tradizioni che impediscono alle donne di essere operate, perché devono per forza partorire normalmente.

D. – Per quanto riguarda i bambini, invece, quali casi vi trovate di fronte?

R. – La parte del leone – per dirla all’africana – la fa la malaria. La malaria è ancora una malattia bruttissima, una malattia terribile, specialmente per i bambini piccoli sotto i cinque anni e perfino sotto l’anno, perché provoca spessissimo complicazioni come anemie gravi, che portano alla morte, se non si interviene immediatamente con una terapia e con la terapia di supporto, come potrebbe essere una trasfusione nel caso di anemia grave, o una reidratazione in caso di disidratazione, eccetera. Ci sono polmoniti e infezioni respiratorie varie dovute al clima infelice …

D. – Almeno nella diocesi in cui è situato l’ospedale, qual è la situazione in cui si vive adesso? C’è pace?

R. – Dal punto di vista politico, questo è uno degli Stati che non è stato toccato direttamente dalla guerra, ma indirettamente sì, perché ci sono moltissimi giovani che sono stati arruolati e sono partiti e non sono più tornati. Poi, indirettamente, anche la situazione economica è crollata: il divario tra poveri e ricchi si è allargato.

D. – E’ in corso una raccolta fondi per il suo ospedale: quali sono le necessità maggiori a cui si provvederà anche con questo aiuto?

R. – Con questo aiuto pensiamo di acquistare farmaci e alcuni materiali che servono per terminare l’attrezzatura dell’ospedale, e poi materiali consumabili da usare per l’ospedale. Inoltre, una parte andrà per l’acquisto di gasolio per il nostro generatore, perché dalla città non viene l’energia elettrica. Quindi dobbiamo lavorare ancora con il generatore. Poi, c’è la formazione del personale.

D. – Lei potrebbe essere tra le sue montagne, in Trentino, e invece si trova tra i poveri in Sud Sudan …

R. – Beh … questa è la mia vita. Io sono contenta così. Non mi sento una persona strana, non mi sento un’eroina. Sento che ho semplicemente seguito l’inclinazione più profonda del mio cuore, e seguendo il Signore sono arrivata fino a qua.

D. – Ecco, quell’affermazione di una persona – “finché voi suore sono qui, so che Dio non ci ha abbandonato e per noi, prima o poi, un futuro ci sarà” – è stata detta a lei, vero?

R. – Sì. Sì. E’ stata detta a me, lo so, ancora all’inizio della mia vita in Africa. Però credo che sia stata detta a tante altre missionarie e missionari da tanta gente, perché questo è quello che la gente pensa, quello che la gente ci dice. Quella frase di quel signore, in particolare, mi ha accompagnata per tutta la mia vita ed è quello che dà un po’ il senso della mia vita missionaria: quello di essere, appunto, sia pur con tutti i difetti di questo mondo che mi ritrovo addosso, un piccolo segno della presenza di Dio per i poveri.








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