2014-12-10 12:51:00

L'Africa non è ebola, la psicosi uccide più del virus


"Per un gruppo di lavoro come il nostro, che conosce e ama profondamente il continente africano, è stata una reazione istintiva di fronte al modo con cui la politica e l'informazione hanno trattato la questione ebola". Massimo Zaurrini, direttore del mensile 'Africa e Affari', presenta così la campagna #AfricaNoebola che la rivista ha deciso di lanciare per dare un contributo nella lotta all'epidemia ma anche per invitare a non trattare, ancora una volta, l'Africa secondo stereotipi inaccettabili. 

"La vicenda ebola - spiega - è un caso emblematico di come ci si occupa di Africa con ignoranza e superficialità, considerandola un Paese e non un grande continente. Un'emergenza sanitaria che riguarda tre paesi dei 17 che compongono l'Africa occidentale, rispetto ai 54 che compongono l'intero continente, è diventata un'emergenza 'africana'con gravissime conseguenze umanitarie". "E da noi - spierga Zaurrini - la psicosi ha generato episodi di cronaca bizzarri. Come quello della bambina, rientrata a Roma dall'Uganda, a cui è stato impedito l'accesso all'asilo, anche se Kampala, capitale dell'Uganda, è più lontana dall'epicentro dell'epidemia rispetto a Roma".

Secondo la redazione di 'Africa e Affari', che ha deciso di distribuire gratuitamente il numero di dicembre, i danni economici, come quelli gravissimi al settore del turismo, e la paura figlia dell'ignoranza, stanno facendo più danni in Africa del virus ebola. "Non siamo noi a sostenerlo ma è la Banca Mondiale", spiega il direttore. "Nella rivista abbiamo condensato dati ufficiali su quella che è la situazione in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Confermano che, come già avvenuto per la Sars e l'influenza aviaria, l'80% dei danni che la malattia provoca non sono imputabili a costi diretti (spese sanitarie, ore di lavoro perse) ma alla psicosi".

"L'epidemia di ebola - ricorda Zaurrini - inizia circa un anno fa in un piccolo villaggio della Guinea, con un bambino di 2 anni, Emile, morto nel dicembre 2013. L'Oms la diagnostica a marzo. Ma sulla stampa occidentale, compresa quella italiana, arriva solo alla fine dell'estate scorsa, con una reazione che è figlia della psicosi. Chiudere i propri confini, abbandonare questi tre paesi, già di per sé poveri e instabili, e lasciarli da soli a lottare contro un'emergenza sanitaria storica. Paesi che avevano bisogno di un sostegno internazionale - conclude Zaurrini - non lo hanno ricevuto quando più era urgente, solo per una paura in parte ingiustificata". "Per mesi, nessuno della comunità internazionale si è mosso per dare aiuto concreto a questi paesi. Basterebbero le squadre militari che vengono inviate per gli eventi sismici. Servono catene logistiche, medicinali di base".  








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