2014-12-11 14:41:00

Essere medici in Congo, la testimonianza di Chiara Castellani


Sarà la dott.ssa Chiara Castellani a parlare del "coraggio di denunciare", nel secondo appuntamento della Cattedra del Dialogo a Torino. Da 25 anni in Congo per difendere il diritto alla salute, la dott.ssa Castellani ha il sogno di dare ai poveri la possibilità di sperare in un futuro diverso. Il servizio di Corinna Spirito:

Chiara Castellani sa bene cosa voglia dire denunciare: lo fa da tutta la vita in Congo. Unico medico per 150 mila abitanti nell’ospedale di Kimbau, da 25 anni dà voce ai massacri, alle violenze, alle epidemie, alla corruzione. Non è mai stato facile: nella maggior parte dei casi non sapeva a chi rivolgersi:

R .- Lo Stato è inesistente e ti trovi che nel momento in cui vorresti denunciare, non sai esattamente dove andare a farlo; e allora, lo fai parlando chiaro con le persone che sono protagoniste degli abusi, delle violazioni dei diritti umani; protesti, cercando di essere accanto alle vittime. Io sono un po’ un Don Chisciotte, che non faccio che scontrarmi con i mulini a vento, perché cerchi di dire che far morire qualcuno perché non ha i soldi per curarsi è un’ingiustizia profonda, e ti rispondono che sarebbe assistenzialismo, se tu cerchi di salvare vite umane …

Ma la dottoressa Castellani non hai mai perso la speranza e ha saputo circondarsi di chi aveva a cuore il diritto alla salute quanto lei:

R. - La Chiesa congolese è una Chiesa che ha parlato chiaro in passato, durante la dittatura di Mobutu, ma sa parlare chiaro anche nella situazione attuale del Paese, denunciando le complicità internazionali ed economiche della guerra attuale, ma denunciando anche le debolezze e le ingiustizie commesse dal potere costituito: i brogli elettorali … 

È questa onestà che ha migliorato il Congo negli ultimi anni: le persone oggi sono consapevoli dei loro diritti e pretendono di essere curati o istruiti, anche se non possiedono denaro. È per questo che Chiara Castellani si fa forza e continua a denunciare: chiede l’aiuto della comunità internazionale per far conoscere i tanti problemi ancora presenti e chiede di non cedere alla stigmatizzazione dell’Africa legata all’emergenza ebola:

R. - È facile trasformare la paura della malattia in paura del malato. Ora, sull’Ebola sono state fatte molte mistificazioni che stanno, purtroppo, alimentando il razzismo dilagante contro le popolazioni migranti. L’Ebola non si trasmette per via aerea e se sta dilagando in Africa è per una ragione molto semplice: perché non hai l’acqua né il sapone per lavarti le mani, perché non hai i guanti per proteggerti nel contatto con il malato, ed è una malattia che si trasmette per contatto diretto, con il sangue, con le secrezioni corporee e anche pelle a pelle quando ci sono fenomeni emorragici anche cutanei, che fanno sì che le secrezioni traspirino attraverso la pelle, per cui è sufficiente toccare il malato per contaminarsi. Ma non si trasmette per via aerea. E proprio per questo, l’Ebola miete vittime negli ospedali africani. Ma qui in Europa, non siamo esposti perché abbiamo l’acqua corrente, abbiamo il materiale di protezione. Ora, anche in Paesi come il Congo, dove ci sono stati focolai epidemici, anche se in questo momento non ci sono casi secondari, lì dove c’è stato il focolaio è arrivato qualche materiale di protezione. Ma dove Ebola non è ancora arrivato, ma può arrivare perché ci sono tutti i presupposti igienico-sanitario, non viene fornito materiale di protezione. Se venisse fornito il materiale di protezione più elementare – i guanti, le siringhe monouso, le siringhe autobloccanti – si potrebbe veramente fare tantissimo! 








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