La storica svolta nelle relazioni tra Usa e Cuba, favorita dal ruolo di Papa Francesco e della Santa Sede, raccoglie i frutti di un lavoro lungo decenni, che ha avuto i Pontefici - in particolare Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - tra i protagonisti accanto alla Chiesa locale e alla diplomazia vaticana. Nel suo servizio, Alessandro Gisotti si sofferma su alcuni momenti salienti di questo lungo cammino di riconciliazione:
Pontefice, costruttore di ponti. Se c’è una vicenda della storia contemporanea che sottolinea il significato di questa parola viene naturale, all’indomani della storica svolta tra Washington e L’Avana, pensare proprio al confronto tra Stati Uniti e Cuba. Se infatti per 55 anni, il braccio di mare che separa l’isola caraibica dalle coste della Florida è sembrato largo come un Oceano, i Pontefici non hanno mai creduto che la distanza fosse incolmabile. Anzi, in fedeltà alla missione iscritta nel loro nome, hanno posato pazientemente un mattone dopo l’altro per costruire quel ponte idealmente inaugurato dal primo Papa latinoamericano.
Roncalli e la crisi dei missili
Dopo la rivoluzione castrista, nel pieno della Guerra
Fredda, Cuba – per la sua posizione strategica – diventò molto più di Cuba. Un destino a tratti
drammatico come si colse in tutta la sua evidenza durante la “Crisi dei missili” dell’ottobre
del 1962. Proprio in quell’occasione quando, concordano gli storici, l’umanità fu
a un passo dall’annientamento nucleare, Giovanni XXIII offrì un àncora ai contendenti
con il Messaggio trasmesso dalla Radio Vaticana. Un richiamo a tutti gli uomini di
buona volontà e, in particolare, ai leader di Usa e Urss, Kennedy (primo Presidente
cattolico statunitense) e Krusciov. Con la voce rotta dalla commozione, Papa Roncalli
leva una supplica accorata per la pace:
“Nous supplions tous les Gouvernants de ne pas
rester sourds…
“Noi – afferma San Giovanni XXIII dai microfoni della
nostra emittente – supplichiamo tutti i Governanti a non restare sordi a questo grido
dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace.
Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali
saranno le terribili conseguenze” (25 ottobre 1962).
L’impressione generata da quell’intervento è enorme. E’ come se la coscienza del mondo avesse alzato la voce per ribellarsi ai rumori sinistri della macchina bellica messasi di nuovo in moto. Una voce che si traduce, un anno dopo, nella Pacem in Terris, l’Enciclica sulla pace di Giovanni XXIII che ancora oggi rappresenta uno dei documenti più vibranti sull’insensatezza della guerra.
Papa Wojtyla vola a Cuba
Se dunque nel 1962 un Papa pone le fondamenta del
ponte tra Cuba e Stati Uniti, 36 anni dopo un altro Papa, Giovanni Paolo II, edifica
l’arcata inimmaginabile fino a pochi anni prima. E’ il 21 gennaio del 1998 quando
il Pontefice che ha contribuito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica arriva nella
terra della Revolucion guevarista. In segno di rispetto per l’ospite d’eccezione, Fidel Castro non
indossa la tradizionale uniforme militare ma un doppiopetto blu. Fanno il giro del
mondo le immagini del Lider maximo che sorregge Karol Wojtyla, già provato dalla malattia.
Nei suoi discorsi, come nelle sue omelie, in terra cubana, il Pontefice ribadisce
che i cristiani di Cuba hanno diritto a vivere liberamente la propria fede, un diritto
che nessuna ideologia può pretendere di eliminare. Quindi, parlando a una folla immensa
di cubani, nella Piazza “José Martí” dell’Avana, pronuncia quell’esortazione storica
che oggi appare profetica:
“Llamada a vencer el aislamiento, ha de abrirse
al mundo y el mundo…”
“Chiamata a vincere l’isolamento – sottolinea San
Giovanni Paolo II – Cuba deve aprirsi al mondo e il mondo deve avvicinarsi a Cuba,
al suo popolo ai suoi figli, che ne rappresentano senza dubbio la maggiore ricchezza.
E’ giunta l’ora di intraprendere i nuovi cammini che i tempi di rinnovamento in cui
viviamo esigono, all’approssimarsi del Terzo Millennio dell’era cristiana”! (25 gennaio
1998)
Benedetto XVI e il “no” all’embargo
Se quindi Papa Wojtyla chiede a Cuba di aprirsi, al
tempo stesso esorta più volte gli Stati Uniti a porre fine all’embargo che attanaglia
l’isola. Un “no” convinto all’embargo ripreso anche da Benedetto XVI che, ricevendo
nel 2009 l’ambasciatore cubano presso la Santa Sede, denuncia che questa misura unilaterale
“colpisce in modo particolare le persone e le famiglie più povere”. Tre anni dopo,
sulle orme del suo predecessore, Papa Benedetto è a Cuba dove incontra il presidente
Raul Castro ma anche, privatamente, il fratello Fidel. Ancora una volta, il Papa chiede
che “si eliminino posizioni inamovibili” che “tendono a rendere più ardua l’intesa
ed inefficace lo sforzo di collaborazione”.
“Concluyo aquí mi peregrinación, pero continuaré rezando…
“Concludo qui il mio pellegrinaggio – afferma il 28
marzo all’aeroporto dell’Avana – ma continuerò a pregare ardentemente affinché continuiate
il vostro cammino e Cuba sia la casa di tutti e per tutti i cubani, dove convivano
la giustizia e la libertà, in un clima di serena fraternità”. Quella libertà e quella
fraternità fra i popoli statunitense e cubano che oggi, anche grazie ai Pontefici,
non sembra più un’utopia.
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