2014-12-19 15:44:00

Iraq, attentati. Mons. Lingua: è il governo del terrore


La violenza continua ad insanguinare l’Iraq. Stamani, una serie di esplosioni ha ucciso almeno 11 persone e ne ha ferite 24 in luoghi pubblici e commerciali della capitale Baghdad. Gli episodi seguono l’agghiacciante notizia di ieri della strage a Falluja di oltre 150 donne, anche in stato di gravidanza, colpevoli di aver rifiutato il matrimonio con i jihadisti del sedicente Stato islamico. Intanto, i peshmerga curdi avanzano nel nord del Paese. Sulle violenze e i soprusi senza fine di questa terra martoriata, Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza del nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons. Giorgio Lingua:

R. – Per quanto riguarda le violenze è difficile verificare, perché non è possibile andare sul luogo dove avvengono questi episodi. Certo, sono preoccupanti e soprattutto è un metodo di governare attraverso il terrore: non è soltanto un episodio, ma è una strategia del terrore che infierisce su tutti quelli che la pensano in modo diverso.

D. – E’ vero che donne e bambini stanno pagando un prezzo altissimo per quanto sta accadendo per la guerra, in termini di violenze?

R. – Senz’altro. Sia dal punto di vista materiale, ma soprattutto dal punto di vista psicologico, perché mentre un uomo ha la possibilità di girare, di andare, di cercare, mentre le donne e i bambini spesso devono rimanere lì dove vengono assegnati, in situazioni difficili.

D. – La gente vi chiede aiuto?

R. – Sono domande di aiuto soprattutto da parte dei cristiani. Chiedono aiuto per poter uscire, per poter trovare una situazione migliore. La mia impressione è che molti si illudono. Io attualmente sono in Giordania: quelli che sono arrivati qui adesso non trovano sbocchi. Pensavano fosse facile raggiungere l’Occidente… Altri aiuti si chiedono per affrontare l’inverno: riscaldamento, vestiti, soprattutto case…

D. – Sentendo le testimonianze delle violenze, dei soprusi e pensando a quello che il Papa dice, quando dice che la Chiesa non è una Ong, che bisogna uscire e testimoniare: qual è la reazione vostra, in questo senso?

R. – La Chiesa è molto impegnata in questa “uscita”; sono diversi sacerdoti, religiosi soprattutto, che vanno a visitare i campi. Dire “campi profughi” non è la parola più appropriata, perché sono piccoli centri, spesso accolti nelle strutture delle parrocchie, delle chiese. C’è tanta attenzione in questo senso, di non abbandonarli. Io stesso ho visitato vari centri: ho l’impressione che la gente sia contenta, anche quando uno arriva sia pure per un semplice saluto, per non sentirsi abbandonata, questo senz’altro. Adesso, anche per Natale ci sono tante organizzazioni che stanno aiutando, soprattutto nei confronti dei bambini: inviano regali… Anche questo permette di andare vicino, di sentirsi vicino alle famiglie che sono nella sofferenza.








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