2014-12-20 14:06:00

Palombella: Mozart nella Messa di Natale, fra modernità e tradizione


In occasione della Messa della Notte di Natale, presieduta da Papa Francesco la sera del 24 dicembre alle 21.30 nella Basilica di San Pietro, sarà eseguito l’Et Incarnatus est della Messa in Do minore di Mozart. Il brano – che si inserisce tra i canti liturgici gregoriani previsti nella celebrazione - fa riferimento al prologo del Vangelo di San Giovanni: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Ad eseguirlo sarà l’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh guidata dal direttore austriaco, Manfred Honeck. La solista è Chen Reiss, soprano di origini israeliane.

Mozart compose la Messa in Do minore tra il 1781 e il 1782, a Vienna, come voto per la guarigione della futura sposa Constanze, che si era ammalata. L'opera è rimasta incompiuta. Sulla scelta di inserire questo brano nella Messa della Notte di Natale, Sergio Centofanti ha intervistato il direttore della Cappella musicale pontificia “Sistina”, mons. Massimo Palombella:

R. – Il significato di questa scelta si pone in una comprensione della riforma liturgica del Concilio Vaticano II che cerca di coglierne la sfida e il senso. Generalmente e ecclesialmente ci sono state e continuano a permanere due visioni sulla logica della riforma liturgica del Concilio in relazione alla musica. C’è chi sostiene che con la riforma liturgica è tutto finito: tutto il patrimonio grande della Chiesa è tutto finito. Dall’altra parte, coloro che sostengono che con la riforma liturgica bisogna buttare via tutto ciò che ci ha preceduto, perché è tutto nuovo: bisogna rifare tutto nuovo. Ecco, io penso che ecclesialmente e teologicamente noi dobbiamo comprendere che ogni riforma della Chiesa è sempre inclusiva delle precedenti. Allora, la riforma liturgica del Concilio Vaticano II che prima di ogni altra cosa, dal punto di vista liturgico-musicale, è una grande sfida di cultura, perché ci obbliga imprescindibilmente a dialogare con la cultura contemporanea – abbiamo appena beatificato Paolo VI che sigla e sigilla questo grande anelito del Concilio: il dialogo con la cultura contemporanea – ma insieme io posso dialogare se ho delle radici, quindi la conoscenza di ciò che ci ha preceduti. Posta questa premessa, questa scelta si colloca così: è un’intelligente collocazione all’interno della liturgia rinnovata dal Concilio Vaticano II, di un segmento del patrimonio – del grande patrimonio ecclesiale – in questo caso, un segmento della Messa di Mozart K427 in Do minore, e precisamente l’Et incarnatus est, collocato con una pertinenza liturgica all’interno della celebrazione. Per cui, al canto del “Credo” della schola, alternato all’assemblea, al posto della schola, con un cimento musicale, si farà l’Et incarnatus est dalla Messa K427. Questo risponde a ciò che il Concilio profondamente ci chiede. Ecco, il senso è questo: la collocazione di un segmento della grande tradizione ecclesiale musicale, all’interno della liturgia rinnovata, ma che questo segmento si possa fare con una pertinenza liturgica, che è la grande sfida che il Concilio pone alla musica: la pertinenza liturgica.

D. – Qual è la particolarità dell’Et incarnatus est di Mozart? Cosa ha voluto esprimere Mozart?

R. – C’è tutta la vicenda di questa Messa, del matrimonio di Mozart, ma è interessante perché lo ha scritto in maniera così alta e profonda che non è riuscito più ad andare avanti. Allora, ha questa particolarità che il “Credo” si ferma con l’Et incarnatus est.

D. – Lo stesso Papa Francesco ha detto che l’Et incarnatus “è insuperabile, ti porta a Dio”…

R. – Infatti questo è anche il motivo per cui si è fatta questa scelta, quest’anno, di fare questa inserzione all’interno della celebrazione. E questo è il lavoro che il Concilio ci chiede: non ci chiede una visione chiusa o esclusiva della realtà; ci chiede una visione che includa la realtà, quindi include la tradizione ma dialoga con la modernità. Rifugiarsi in un sicuro passato o percorrere solo ed esclusivamente strade di sperimentazione, doverose ma sempre all’interno di un contesto ecclesiale. Quindi, il grande equilibrio che ci chiede il Concilio è proprio questo: il dialogo con la modernità, con le nostre radici.








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