Arriva sugli schermi italiani giovedì prossimo il nuovo film di Clint Eastwood “American Sniper”, che racconta le esperienze di vita e di morte del cecchino Chris Kyle, interpretato da Bradley Cooper, gettato nell’abisso della guerra iraqena e tragicamente assassinato nel 2013 da una recluta che cercava di aiutare dopo il suo definitivo ritorno in patria e in famiglia. Il servizio di Luca Pellegrini:
Distesi a terra, imbracciato il loro fucile, ascoltano le istruzioni dell’ufficiale di addestramento: "Sentite il vostro respiro riempire ogni singola cellula del vostro corpo. Dobbiamo avere il controllo del nostro respiro e della nostra mente". Sono ragazzi americani che dovranno ricordare questo dominio del corpo e della mente quando si ritroveranno gettati nella sanguinaria follia di una guerra spaventosa, quella che si è combattuta in Iraq, Paese senza pace. Tra questi c'era Chris Kyle, un ragazzone nato in Texas nel 1974, educato in una famiglia dai rigidi principi religiosi e con una dote naturale: la mira infallibile.
Famiglia e fucile
E’ il motivo per cui negli annali dell'esercito e
nella vulgata dei media è stato descritto come "il più letale cecchino della storia
militare degli Stati Uniti" e a lui Clint Eastwood dedica il suo trentaquattresimo
film, narrandolo come un tragico personaggio che cova e poi fa esplodere le ferite
irreparabili - psicologiche, fisiche, morali e materiali - che la guerra apre nella
sua normale esistenza, divisa tra patria e famiglia, entrambe con i loro valori di
riferimento. Nel film, più che la dimensione del militare, è quella umana di Kyle
ad attrarre il celebre regista, che ha dichiarato come interessante fosse capire perché
un ragazzo della provincia americana potesse essere spinto dall'andare a combattere
in Iraq ben quattro volte, per un totale di oltre milleduecento giorni, mettendosi
il fardello sulle spalle di oltre centosessanta uccisioni di potenziali kamikaze e
nemici, avvenute durante le sue missioni a Ramadi, Fallujah e Sadr City. I viaggi
nella guerra di Kyle sono alternati ai suoi ritorni a casa, segnati dagli effetti
sempre più devastanti di quelle tragiche esperienze.
Né martire né eroe
E’ un personaggio complesso e in fondo vulnerabile,
che lotta, come ha affermato il produttore Robert Lorenz, con i suoi demoni interiori
e cerca di sorreggersi aggrappandosi a ciò che diventa la cosa più importante della
sua vita, la famiglia. Kyle è diviso a metà, sa di fare la cosa giusta per salvare
i compagni e la cosa sbagliata quando deve sparare anche ai bambini, gettati in quell'incubo
con le bombe tra le mani e l'odio nel cuore. Ma il film di Eastwood non indugia sul
sangue e sulla violenza, ma su ciò che scorre di umano e terribile nelle vene di Kyle
e della società americana segnata dal terrorismo, nelle famiglie arabe stritolate
dal terrore, nella disperazione della moglie, nell'innocenza dei figli. Facendo del
cecchino né un martire e nemmeno un eroe, ma un soldato insieme sicuro di sé e fragile,
quasi costretto a credere, per amore del suo Paese, in ciò che fa: una guerra completamente
sbagliata e inutile, le cui terribili conseguenze subiamo tragicamente ancora oggi.
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