2014-12-31 13:22:00

Vicenza, Marcia per la Pace di Pax Christi


“Non più schiavi, ma fratelli”: su questo tema, lo stesso che il Papa ha scelto per la Giornata mondiale della Pace 2015, si svolgerà nella serata dell’ultimo giorno dell’anno, la 47° Marcia nazionale per la Pace che questa volta sarà ospitata dalla Diocesi di Vicenza. Circa 1.500 i partecipanti attesi, provenienti da molte regioni italiane, e oltre al vescovo locale, mons. Beniamino Pizziol, saranno presenti mons. Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Campobasso-Boiano, mons.Luigi Bressan, arcivescovo di Trento e presidente di Caritas italiana, e Fabiano Longoni, direttore dell'Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e del lavoro. Quattro le tappe previste lungo il cammino che partirà alle 16.30 da Monte Berico per arrivare alle 22.30 in Cattedrale a Vicenza. Nella terza tappa, è previsto l’incontro con i due missionari vicentini, don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, rapiti in Camerun l'aprile scorso e rilasciati dopo due mesi. Sulla manifestazione, Adriana Masotti ha sentito mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo vescovo di Altamura, Gravina, Acquaviva delle Fonti e presidente di "Pax Christi", l’Associazione che insieme con Caritas italiana e Azione cattolica, promuove la Marcia:

R. – Sicuramente, siamo qui anche per ricordare questo evento: il primo centenario di questo evento tragico, drammatico, che fu la Prima Guerra Mondiale, e per lanciare un messaggio che faccia memoria delle parole di Benedetto XV “un’inutile strage”: la chiamata a un interventismo che poi risultò veramente una tragedia per questa nostra Italia. Le parole di Papa Francesco “La guerra è una follia” sono il senso di questo momento di riflessione qui a Vicenza.

D. – Lungo il cammino verrà offerta anche una testimonianza forte, quella dei missionari in contesti difficili…

R. – Vuole essere anche il ricordo di questi uomini, oltre ai missionari, volontari: i laici. Soprattutto lì dove i conflitti sono così frequenti e violenti, infatti, non possono che essere una presenza che invoca un modo diverso di affrontare le situazioni. E’ in nome del Vangelo, in nome di questa buona notizia, che si porta la pace, la concordia tra i popoli. Il martirio di tanti missionari è una testimonianza soprattutto di uomini che amano la pace e che lottano, vivono e sono capaci di soffrire e di morire, perché questo dono di Dio all’umanità possa essere davvero riaccolto in questo nostro tempo.

D. – L’ultima tappa prima di arrivare alla cattedrale per la celebrazione dell’Eucaristia sarà dedicata ai giovani, che decidono di vivere l’ultimo dell’anno in maniera diversa…

R. – Sì, io oggi ho 66 anni, però ricordo, una trentina di anni fa, quando avevamo nella mia parrocchia le prime esperienze di obiezione di coscienza al servizio militare e la conseguente scelta di partecipare, la notte di Capodanno, alla marcia della pace. Noi volevamo proprio proporre ai giovani un Capodanno diverso, alternativo a quegli spari o a quelle giuste, legittime cene, che però non potevano soddisfare quelli che sono i sogni dei giovani, le aspirazioni dei giovani, le scelte controcorrente. Oggi le dico che si fa abbastanza fatica a invitare i giovani a lasciare un certo modo di vivere il Capodanno, ma su questo non dobbiamo assolutamente arrenderci, perché sappiamo che quanto più alta e impegnativa è la proposta, tanta più generosità ci sarà in risposta da parte dei giovani.

D. – Sono 47 le edizioni per la marcia per la pace. Quanto bisogno c’è anche oggi di manifestare per questo?

R. – Sì, io credo in questi momenti, non come a momenti isolati nella vita di un giovane o di un adulto. Penso che ci sia ancora tanta voglia di camminare – metaforicamente, certo – e la marcia ne è una immagine. Il cammino per la pace, però, è un cammino che va riproposto, va percorso e va veramente interiorizzato in modo tale che ogni giorno della propria vita, in quella relazionalità anche con gli altri, sia un piccolo passo verso la pace.








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