2015-01-04 10:30:00

Congo: scade l'ultimatum del governo ai ribelli Hutu


Scaduto l’ultimatum di sei mesi del governo della Repubblica Democratica del Congo ai ribelli di etnia Hutu dell’”Fdlr”, che imperversano nella regione del Kivu. Solo un quinto dei ribelli ha consegnato le armi. “Disarmarli con la forza è ormai inevitabile”, ha affermato il governo in televisione. Intanto, in Burundi un centinaio di combattenti Hutu provenienti dal Congo sono stati uccisi dall'esercito di Bujumbura dopo un combattimento di cinque giorni nel nordovest del Paese. Ma chi sono i ribelli dell'Fdlr e cosa vogliono? Michele Raviart lo ha chiesto ad Enrico Casale, giornalista esperto di questioni africane:

R. – Questi ribelli sono in gran parte i protagonisti del genocidio del 1994 in Rwanda. Sono quelle forze più estremiste dell’etnia hutu che si sono macchiate di orrendi crimini durante il genocidio. Dopo l’avanzata delle milizie tutsi, che poi hanno preso il potere, questi ribelli hutu sono fuggiti nel vicino Congo.

D. – Le milizie hutu hanno occupato la regione del  Kivu. Qual è la natura di questa occupazione?

R. – Nel Congo si sono comportati in modo violento, perché hanno vessato le popolazioni locali da un lato e dall’altro si sono dedicati ai traffici di oro, carbone, diamanti dal Kivu verso l’estero e con questo traffico si sono arricchiti notevolmente. Sebbene questo movimento abbia chiesto di abbandonare le armi e di tornare a fare politica all’interno del Rwanda, l’attuale governo rwandese ha sempre rifiutato la proposta e qualsiasi mediazione.

D. – Il governo del Congo ha dato un ultimatum di sei mesi, quindi anche abbastanza esteso come tempo: perché non si sono arresi e qual è la forza del governo nel trattare?

R. – Si parla di 1.500 miliziani complessivamente: soltanto 350 circa avrebbero aderito alla proposta del governo congolese. E’ chiaro che l’Fdrl non ha grossi problemi per il sostentamento e probabilmente hanno anche un vantaggio strategico, che gli permette di resistere anche militarmente. Non si sa bene al momento come possa reagire il governo congolese. Qualcuno parla di una possibile offensiva, ma al momento non è ancora chiaro.

D. – Il governo non ha escluso l’uso della forza e si parla anche di un coinvolgimento attivo delle truppe Onu, che sono in Congo da 15 anni…

R. – Le truppe Onu sono già intervenute a sostegno dell’esercito congolese contro le milizie, questa volta tutsi, dell’M23. Io non mi sento di escluderlo in questo momento, anche perché l’esercito congolese non ha una grande organizzazione e non ha una forza tale da potersi opporre in modo serio a queste milizie hutu.

D. – I miliziani dell’Fdrl quindi hanno appoggi esterni, oppure basta lo sfruttamento delle risorse dei territorio che controllano?

R. – Ci sono giochi più grandi in quell’area. Certamente, il loro peggiore nemico è l’attuale presidente rwandese Kagame, presidente tutsi e certamente - come dicevo prima - i ribelli hutu non hanno problemi di finanziamenti per l’acquisto di armi o per l’acquisto di supporti logistici, perché hanno grandi entrate dal traffico di risorse naturali in Congo.

D. – E’ di qualche giorno fa l’appello dei vescovi congolesi alla pace. Qual è il ruolo della Chiesa in questa crisi?

R. – Il ruolo della Chiesa è sempre importante, perché il Congo – così come il Rwanda e il Burundi – sono Paesi cristiani e quindi la parola dei vescovi ha un peso determinante. E’ più un ruolo di guida, di esortazione, che non un ruolo politico veramente effettivo, anche perché questi sono miliziani che rispondono solo a se stessi e quindi sono abbastanza sordi a questi appelli da parte della Chiesa.








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