2015-01-14 12:13:00

A Ginevra si discute della difficile transizione in Libia


Raggiungere un accordo sulla gestione della parte restante del periodo di transizione in Libia: questo l’obiettivo della riunione organizzata a Ginevra dalla Missione di sostegno delle Nazioni Unite nel Paese nordafricano (Unsmil). E’ urgente la formazione di un governo di unità nazionale che permetta un processo costituzionale per arrivare a una nuova costituzione permanente.  Nei colloqui si discute anche di possibili misure di sicurezza per porre fine ai conflitti armati che imperversano in diverse parti del Paese. Della situazione drammatica della Libia e delle dinamiche interne, Fausta Speranza ha parlato con il professor Luigi Serra, studioso in particolare dell’area del Maghreb dell’Orientale di Napoli:

R. – Siamo di fronte ad un Paese destabilizzato e non solo: un Paese completamente allo sbando, che si regge ancora grazie alla connessione realizzata all’interno dagli interessi estranei al Paese, col quale comunque coincidono. La Libia, infatti, è riserva petrolifera e Paese dove convergono interessi economici da parte di forze esterne, tutto sommato. Non a caso i pozzi petroliferi, anche se minacciati, continuano a produrre.

D. – Si rischia la guerra civile? C’è una strategia della comunità internazionale in questo momento?

R. – No, assolutamente non c’è una strategia, perché innanzitutto si parla a più voci, anche se ciò non appare con estrema evidenza. C’è sempre qualche comunicato che sembra mediare una posizione partorita dall’Onu o da altre sedi internazionali autorevoli. Non c’è Paese che abbia una visualizzazione del dramma libico assolutamente e interamente corrispondente alla visione di un altro Paese. Ci sono interessi nascosti, interessi che non sono palesati e che, comunque, si perseguono con manovre poco chiare e non sempre sicure di successo.

D. – Ma chi sono gli attori in Libia?

R. – Personaggi, realtà, fazioni, gruppi innanzitutto libici, numerosi, che si dividono e si possono connotare come referenti ad aree libiche diversificate: Bengasi cioè ha le sue espressioni; Tripoli ha le sue rivendicazioni da avanzare. Quando dico Bengasi, quando dico Tripoli, intendo dire Cirenaica, intendo dire Tripolitania, con il Fezan che ruota a seconda del fascino o degli incantesimi che offre ora la prima regione che richiamavo, la Cirenaica, ora la seconda, la Tripolitania. E’ un’area quindi di fluidificazione delle appartenenze.

D. – Si tratta di posizioni politiche esasperate o si tratta di terrorismo vero e proprio?

R. – L’aspetto grave è proprio questo: si tratta di posizioni politiche esasperate, miscelate da presupposti di impegno a livello terroristico delle proprie forze da parte dei gruppi sullo scenario libico. Ci sono due realtà che scendono nel profondo della regione, nella diversità, nella dicotomia della composizione etnico-linquistico-culturale della Libia: c’è la componente araba, ufficialmente dominante, istituzionalmente autorevole; e la componente berbera, che è la componente autoctona, antica, originaria della Libia, come dell’intero Nord Africa dal punto di vista etnico-culturale-linguistico. Ora sappiamo che Gheddafi è caduto anche per la discesa in campo pesante, forte e significativa - dal punto di vista del successo - di quanti volevano l’eliminazione di Gheddafi, appunto dei berberi. Alludo a mercenari occidentali, europei - ceceni, jugoslavi e quanto altro - senza i quali Gheddafi probabilmente, non avendoli contro, sarebbe ancora in sella al potere. C’è quindi il rischio di un’implosione interna alla Libia dei contrasti, a tal punto che si possa configurare uno stato di guerra civile. 








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