2015-01-18 09:30:00

Coppa d'Africa: il calcio più forte di ebola e conflitti


E' iniziata ieri nello "Estadio de Bata" a Bata, in  Guinea Equatoriale la Coppa d'Africa, giunta alla trentesima edizione. Ad inaugurare il torneo i padroni di casa contro la Repubblica Democratica del Congo: partita finita in parità (1-1). Una passione, quella del calcio in Africa, che supera le guerre che dilaniano alcuni dei Paesi partecipanti ma che non ha superato la paura di ebola. Ad ospitare la Coppa sarebbe dovuto essere il Marocco che ha rinunciato per i timori legati all'epidemia. Francesca Sabatinelli ha intervistato Enrico Casale, giornalista esperto di Africa:

R. – E’ in queste occasioni che si capisce come un’epidemia di ebola non sia soltanto un’emergenza sanitaria, ma anche un’emergenza che mina le abitudini e il modo di vivere della popolazione. Sarebbe così anche in Europa, a maggior ragione in Africa, un Paese più povero, con sistemi sanitari più problematici, con strutture istituzionali che hanno più difficoltà a contenere questa epidemia. Quindi si capisce come l’ebola abbia non solo ucciso migliaia di persone, non solo messo alla prova questi Stati, ma abbia anche inciso sui rapporti interpersonali, sui rapporti fra gli stessi Stati, con la diffidenza, la paura e questi sentimenti che emergono in queste condizioni difficili.

D. – Sono 16 le nazionali, a incominciare dal Paese ospitante, la Guinea Equatoriale, Paesi che non hanno una situazione interna particolarmente stabile. Possiamo citare il Mali, possiamo parlare della Repubblica democratica del Congo. Insomma, le squadre si trascinano in campo una serie di problemi dei loro Paesi…

R. – Sì. Pensiamo al Mali, che è stato sconvolto da una guerra che ha richiesto l’intervento esterno dell’Onu, e prima ancora della Francia, una guerra che non appare più sui giornali, ma che comunque è ancora viva, soprattutto nel Nord, dove il fondamentalismo islamico controlla intere aree del Paese. Ma poi pensiamo alla Repubblica democratica del Congo, che ha la regione orientale perennemente instabile, ha un’area, penso al Nord Kivu, al Sud Kivu, ricchissima di risorse minerarie, ma proprio per questo instabile, perché gli appetiti su queste risorse minerarie sono elevatissimi. In quelle aree si combatte una guerra non dichiarata tra gli Stati confinanti, per il controllo di queste risorse. Pensiamo anche alla Guinea Equatoriale, un piccolissimo Stato, di cui non si parla mai, ex colonia spagnola, governata da una dittatura che gestisce una ricchezza immensa. Ricordiamo, infatti, che la Guinea Equatoriale è un Paese produttore di petrolio, in cui il livello democratico è ai minimi termini: la popolazione vive nel terrore e nella povertà estrema, perché gran parte dei proventi delle risorse petrolifere finiscono nelle tasche dell’élite.

D. – Accanto ai Paesi che scendono in campo, ce ne sono altri, presenti nelle edizioni passate, ma non a questa edizione. Prendiamo la Nigeria, vincitrice nel 2013, dove gli appassionati avranno addirittura paura a scendere in strada per tifare, perché la violenza di Boko Haram sta imperversando…

R. – Sì, della Nigeria si parla sempre troppo poco. In questo Paese, che è il Paese più popoloso dell’Africa, da anni ormai direi Boko Haram controlla intere zone nell’area occidentale, terrorizzando la popolazione con attacchi sanguinosi, che causano migliaia di vittime con il sogno di instaurare un califfato islamico nel cuore dell’Africa che controllerebbe però anche le grandi risorse naturali. Anche in questo caso alla base c’è la voglia, la necessità di controllare delle risorse, risorse petrolifere in questo caso, di cui la Nigeria è ricchissima.

D. – Ma allora il valore di questo evento sportivo, se c’è, qual è?

R. – Intanto il valore dello sport, che quindi è mettere insieme realtà diverse anche problematiche, ma diverse, in un gioco che affratelli, che unisca. Attorno al pallone ci si unisce: sia tra le tifoserie, quando le tifoserie non sono hooligans, sia in campo, tra nazionali diverse. Ma poi io aggiungerei anche il valore sportivo. In campo scenderanno dei campioni, che sono campioni assoluti. Purtroppo, spesso, non hanno potuto formarsi in Africa e si sono dovuti formare in Europa, ma il fatto che ci siano campioni, penso ad Eto’o, a Drogba, dimostra che in Africa esiste un vivaio calcistico che continua a fornire giocatori di livello elevatissimo. E quindi in campo si vedranno anche questi valori sportivi. Una volta il calcio africano era considerato il calcio “cenerentola” a livello mondiale, adesso no. Molte nazionali, penso per esempio al Camerun, al Sudafrica, alla Costa d’Avorio, al Marocco, alla Tunisia ed Algeria, sono nazionali che in campo si fanno valere, anche contro le nazionali più forti, europee e sudamericane.








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