2015-01-19 13:24:00

Convegno famiglia a Milano. Introvigne: troppa disinformazione


Non si placa la bufera mediatica attorno al convegno organizzato sabato dalla Regione Lombardia a Milano sul tema “Difendere la famiglia per difendere la comunità”. Polemiche sulla presenza in aula di personaggi controversi, ma gli organizzatori spiegano: “l’ingresso era libero”. Nelle scorse settimane alcuni attivisti avevano chiesto l’annullamento dell’iniziativa denunciandone la matrice omofoba. Un’accusa infondata - affermano gli organizzatori - che ha pesato sui lavori disturbati dall’incursione di un giovane. “Il tema è stato quello della famiglia, non si è parlato di gay”, spiega al microfono di Paolo Ondarza uno dei relatori, il prof. Massimo Introvigne, presidente del comitato “Sì alla Famiglia”:

R. – Il Convegno era aperto al pubblico, quindi chiunque – a meno che non avesse uno scolapasta in testa, come certi “simpatici provocatori” – veniva fatto entrare dai vigili e dalla polizia che gestivano la sicurezza: la Regione non è responsabile se tra i 3.000 partecipanti c’era qualche personaggio con idee diverse da quelle degli organizzatori. Il tema non era l’omosessualità; nessuno ha definito l’omosessualità una malattia o una perversione, anzi: piuttosto, questa tesi è stata smentita. Semplicemente si sono chieste leggi più rispettose della famiglia, un fisco più a misura di famiglia, perché il fisco attuale non lo è; il matrimonio – è stato ribadito - è solo tra un uomo e una donna; il bambino per crescere – come ha detto il Papa lo scorso aprile – ha bisogno di un papà e di una mamma, da cui anche la contrarietà alle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso.

D. – La difesa della famiglia è trasversale: al convegno erano rappresentate – potremmo dire – tutte le aree politiche …

R. – Sì: si può difendere la famiglia da qualunque sponda politica. L’importante è abbassare i toni. Noi, al convegno, per la verità, abbiamo cercato di farlo; anche qualche organo di stampa non favorevole ce ne ha dato atto. E’ chiaro, invece, che quando si dà la parola all’insulto e alla disinformazione, allora quella concordia civile che sarebbe una premessa necessaria per affrontare argomenti così delicati, rischia davvero di venire meno.

D. – Perché tanta disinformazione su questo convegno, ad esempio per quanto riguarda la presunta matrice omofoba dell’iniziativa, o disinformazione sui numeri di chi ha partecipato? Un quotidiano parla di appena 400 partecipanti e 2.000 manifestanti contrari fuori …

R. – Le cifre sono ben diverse, le ha fornite la Questura di Milano, che non credo sia un pericoloso covo di omofobi. Tra le persone che non sono riuscite ad entrare e che hanno ascoltato da microfoni all’esterno, e quelle distribuite in sala, hanno partecipato circa 3.000 persone. Penso che l’etichetta “omofobia” ormai sia utilizzata come una sorta di bastone: cioè qualunque tesi che non sia favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso e all’adozione di bambini da parte di persone dello stesso sesso, magari utilizzando anche la pratica dell’utero in affitto, immediatamente viene bollata come omofoba.

D. – Così è accaduto sabato, quando il convegno è stato interrotto per pochi minuti, se non erro, dall’intervento di un ragazzo che protestava contro la “teoria riparativa”?

R. – L’interruzione è durata meno di due minuti, quindi non ha turbato il convegno. Qualche amico mi ha detto che nel filmato mi si vede non solo tranquillo, ma sorridere. Sorridevo perché ho visto che il ragazzo è salito sul palco insieme ad un giornalista de "Le Iene". La cosa era così preparata che io seguivo la cronaca quasi in diretta sul sito di "Repubblica". Il ragazzo aveva un foglietto dal quale avrebbe dovuto leggere la sua presunta domanda; in realtà era una critica, e l’episodio del ragazzo e il contenuto della domanda sul foglietto sono apparsi sullo stesso sito meno di un minuto dopo l’incidente. Ora, o i giornalisti di "Repubblica" sono così bravi che in un minuto riescono a scrivere un articolo dopo un incidente che li ha colti di sorpresa, oppure le cose sono andate un po’ diversamente.

D. – Insomma, avrebbero preferito farvi tacere …  Colpisce, tutto questo, in giorni in cui in Europa e nel mondo si manifesta a favore della libertà d’espressione …

R. – Ma sì, devo dire che trovo curioso che gli stessi organi di stampa che scrivono “Je suis Charlie”, dicendo che la libertà di esprimere qualunque idea sia assoluta, senza “se” e senza “ma”, poi fanno un’eccezione quando si parla della famiglia. Sembra che di una cosa sola non si possa parlare, e cioè di un modello di famiglia che esprima poi critiche nei confronti di chi parla di famiglia al plurale e di chi vuole i matrimoni e le adozioni omosessuali.








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