2015-01-20 15:33:00

Usa-Cuba: a passi spediti verso le relazioni diplomatiche


Tra Usa e Cuba sarà questa settimana che si terranno i colloqui a più alto livello da oltre 50 anni. Sull’isola, dove già si trova una delegazione parlamentare statunitense, ne è attesa un’altra governativa, sempre inviata da Washington, e guidata dal vicesegretario di Stato, Roberta Jacobson. Si procede quindi a passi spediti verso la normalizzazione dei rapporti tra i due Stati, dopo l’annuncio del 17 dicembre scorso del presidente Usa Obama e di quello cubano Castro. Lo conferma a Francesca Sabatinelli il giornalista argentino Alfredo Somoza, Presidente dell’Icei, Istituto Cooperazione Economica Internazionale:

R. – La notizia è che l’accordo tiene, che si stanno facendo dei passi in avanti e che soprattutto non ci sono stati dei contraccolpi, né a Cuba né negli Stati Uniti. Va ricordato che negli Usa questa apertura è stata fortemente caldeggiata dagli imprenditori statunitensi, i settori economici che contano negli Stati Uniti da tempo la stavano chiedendo, così come parallelamente il cosiddetto “esilio cubano”, soprattutto quello di Miami, quello più radicale contro il regime di Fidel Castro. Ormai siamo già alla seconda o alle terza generazione di questo “esilio cubano” e ovviamente non c’è più lo stesso fervore, non c’è più la stessa radicalità da parte dei figli e dei nipoti di coloro che sono andati via da Cuba che anzi, in questa fase, sicuramente erano piuttosto interessati a poter riallacciare rapporti con Cuba.

D. – Dopo l’annuncio del cosiddetto disgelo tra Stati Uniti e Cuba si sono avviati dei passi concreti: i primi sono stati l’apertura al turismo degli Stati Uniti a Cuba così come l’invio delle rimesse degli immigrati. Cosa ci si deve aspettare come passo successivo? La definizione dei rapporti diplomatici con l’apertura delle rispettive ambasciate?

R. – Questo sarebbe il passo centrale, quello cioè di tornare a uno status di ambasciate, cosa che attualmente non esiste, ci sono semplicemente degli incaricati di affari. Questo vorrebbe dire il riconoscimento reciproco dello status di Paesi indipendenti in grado, appunto, di relazionarsi. C’è anche un altro punto collegato a questo, che è la fine dell’ostracismo di Washington nei confronti di Cuba all’interno delle associazioni regionali, come l’Organizzazione degli Stati America, che negli anni Sessanta aveva espulso Cuba e che è ora l’unico Paese americano escluso da questa associazione regionale, che va dal Canada all’Argentina.

D. – Ciò che avviene in questi giorni, e ciò che avverrà nel prossimo futuro tra Stati Uniti e Cuba, avrà non poco peso su quello che è il conflitto più annoso dell’America Latina, quello colombiano. All’Avana sono in corso i negoziati di pace tra governo e guerriglia delle Farc…

R. – Sì, sarebbe un grande traguardo. La Colombia rappresenta un conflitto storico, con radici molto profonde, che poi nel corso dei decenni è mutato con l’ingresso in campo anche dei narcotrafficanti, così come degli Stati Uniti stessi, che hanno avuto una partecipazione al fianco del governo colombiano non indifferente. Pare che questa sia la volta buona e che quindi si possa risolvere. Da più di un anno sono in corso dei negoziati proprio all’Avana sotto gli auspici di Cuba, ma con l’accordo tacito degli Stati Uniti, altrimenti la Colombia non sarebbe mai arrivata a questo punto. Il negoziato sta andando molto bene, praticamente siamo all’ultimo punto che non è certo da poco, perché riguarda proprio la fine della violenza e quindi la consegna delle armi e il rinserimento dei guerriglieri nella vita politica democratica della Colombia. Sicuramente il clima che si viene ad instaurare tra Stati Uniti e Cuba aiuta, perché così come gli Stati Uniti avevano sostenuto nel tempo il governo colombiano, Cuba aveva sostenuto la guerriglia. Quindi non è un caso che a 24 ore dall’annuncio di Barack Obama, le Farc, la guerriglia colombiana, abbiano annunciato un cessate-il-fuoco unilaterale, che rappresenta il passo precedente per la conclusione di questo accordo, che avrebbe il significato storico di chiudere l’ultimo conflitto dell’intero continente americano.

 








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