2015-01-20 17:10:00

Yemen: i ribelli sciiti occupano il palazzo presidenziale


Sempre più tesa la situazione in Yemen: dopo gli scontri di ieri, oggi i ribelli sciiti Huthi hanno occupato il palazzo presidenziale nella capitale Sanaa. Al momento dell'assalto non era presente il presidente Hadi, la cui abitazione è però sotto attacco. Intanto, il segretario generale dell'Onu, lancia un appello alle parti perché mettano fine immediatamente a tutte le ostilità. Il servizio di Debora Donnini:

 

Sembra vicino un colpo di stato in Yemen dove i ribelli sciiti hanno fatto irruzione nel palazzo presidenziale. Non vi si trovava il presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi la cui residenza è stata comunque sottoposta a bombardamenti e sembra che in queste ore sia sotto assedio. Il capo di Stato tuttavia "sta bene", hanno assicurato  fonti governative. I combattimenti di ieri e oggi avrebbero fatto circa 23 morti. La violenza è esplosa al culmine di un braccio di ferro tra il presidente e i ribelli sciiti in merito alle riforme costituzionali per cercare di avviare il Paese verso una difficile riconciliazione. Secondo un piano sponsorizzato dalle Nazioni Unite, Hadi dovrebbe formare un nuovo governo di unità nazionale e gli Huthi dovrebbero ritirarsi dalla capitale,  su cui sono calati dai loro territori nel Nord del Paese. L’offensiva degli Huthi dalla scorsa estate in aree tradizionalmente sunnite ha poi provocato la reazione di clan tribali rischiando di far guadagnare consensi ad Al Qaida. E proprio per affrontare la difficile situazione in Yemen, ha preso il via al Palazzo di Vetro una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu nel corso della quale il segretario generale  Ban Ki-moon ha chiesto che sia ripristinata la piena autorità delle istituzioni governative legittime. Intanto due navi da guerra Usa, sono state spostate nel Mar Rosso e sono pronte a far evacuare il personale dell'ambasciata americana dallo Yemen nel caso in cui dovesse arrivare l'ordine dal Pentagono.

Quali evoluzioni ipotizzare e quali le incognite che pesano sulla realizzazione del piano di pace sponsorizzato dalle Nazioni Unite? Benedetta Capelli ne ha parlato con Francesca Corrao, docente di lingua e cultura araba alla Luiss di Roma: 

R. – Trattative si stavano portando avanti e non soltanto grazie all’Onu, ma con supporti di altri Stati arabi, come ad esempio gli Emirati, e avevano dato risultati. Tuttavia, l’errore è stato, secondo la stampa araba, quello di non avere fermato l’avanzata degli houthi verso la capitale. E questa posizione di attesa avrebbe favorito l’attacco.

D. – Terrorismo e corruzione sono i due mali che affliggono lo Yemen. Il governo non ha fatto molto su questi due fronti: quali, secondo lei, le ragioni di questo immobilismo?

R. – Terrorismo e corruzione sono legati ad altri due elementi fondamentali. Innanzitutto, il Paese, in generale, aveva raggiunto una pacificazione dopo l’unificazione, ma aveva lasciato molti scontenti e tra gli scontenti – ovviamente - c’erano diversi clan tribali, importanti e forti, da una parte, e al sud i vecchi governanti socialisti. Quindi, diciamo che con la primavera araba si sono rimessi in discussione gli equilibri che si erano raggiunti tra i gruppi tribali e l’esercito. Dopodiché si è tentato di trovare una soluzione politica di ampio respiro, ma l’intervento degli houthi  - che, come ricordo, sono gruppi sciiti che vorrebbero maggiore spazio, se non prevaricare la maggioranza sunnita del Paese - ha fatto saltare gli equilibri di questi già difficili rapporti all’interno dello Stato. Quindi noi sappiamo già che è un Paese diviso, da molto tempo, che aveva trovato un equilibrio - equilibri di potere che sono saltati. Dobbiamo tenere conto che non è soltanto un problema di terrorismo e corruzione che sicuramente incidono, ma è anche un problema di forze straniere, che giocano dall’esterno per cambiare gli equilibri nel Paese. Non dimentichiamo che il Paese si trova in una posizione strategica delicatissima, perché di fronte c’è la Somalia, c‘è una porta verso l’Africa, c’è la Nigeria che sta soffrendo pesantemente a causa delle aggressioni di Boko Haram.

D.  – Quali sono queste potenze straniere interessate al futuro dello Yemen?

R.  – Il problema non sono tanto i governi, sono anche le forze all’interno di Paesi limitrofi, che non riescono a trovare espressioni politiche e quindi cercano, da fuori, di destabilizzare e rafforzarsi, per poi poter di nuovo ritornare all’attacco all’interno dei diversi Paesi. Credo che a livello internazionale bisogna sostenere il più possibile il dialogo.

D. – Ipotizzare uno Yemen nella mani dei ribelli sciiti è una prospettiva possibile? E  che conseguenze potrebbe portare nell’intera area, in particolare anche in Arabia Saudita?

R. – Io non la vedo positivamente una soluzione del genere e penso che comunque nel Paese - sia nel Sud del Paese che nel Nord - ci sia il rifiuto di una prospettiva del genere, per ragioni diverse. Perché ricordiamoci che, per esempio, alcuni dei capisaldi di al Qaeda sono nel Sud: la famiglia di Bin Laden si colloca in un’area del Sud dello Yemen. Quindi diciamo che non c’è un interlocutore, ce ne sono diversi: il partito sunnita religioso che non è ovviamente dalla parte degli houthi, l’ex partito di Saleh, l’altro presidente, e il partito socialista. Sono non soltanto partiti, ma anche gruppi etnici, culturali diversi e dunque le trattative non sono semplici, anche se stanno cercando di procedere. Perché è interesse, ovviamente, dei gruppi terroristici fomentare il disordine e il panico, ma anche - da parte opposta - gli Stati della regione sono assolutamente interessati a trovare delle soluzioni non violente a questo conflitto.    








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