2015-01-22 19:53:00

A Londra 21 ministri degli esteri per strategia anti Is


"Confondere terrorismo e immigrazione e' un'idiozia". Cosi' il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni da Londra, dove si trova per partecipare al primo incontro della coalizione internazionale che si vuole costituire ad hoc per cooperare contro lo Stato islamico. Il servizio di Fausta Speranza 

                                                                                                        

Summit dei ministri degli Esteri di 21 Paesi, per definire strategie di azione comune contro la minaccia terroristica del sedicente Stato islamico. Il ministro italiano parla della psicosi immigrazione: "Sostenere che tra le decine di migliaia di disperati che approdano con i barconi sulle nostre coste si annidano terroristi armati di kalashnikov – afferma - non ha senso, il che non esclude – aggiunge che nella situazione odierna non ci possano essere rischi sui quali vigilano i servizi di intelligence e gli apparati di sicurezza".  Gentiloni indica un’altra via da percorrere: lavorare per una agenzia europea per l'intelligence. Da parte sua il segretario di stato Usa, Kerry, sottolinea che sul terreno in Iraq e Siria, in alcuni casi lo Stato islamico è stato fermato e si è ritirato. Come dire: la coalizione di forze di diversi Paesi funziona.   In tema di terrorismo, resta da dire che dopo il fermo dell’albanese trovato in possesso di carta di identità falsa all’aeroporto di Catania, si è ricostruito che l’italiano residente in Lombardia, al quale apparteneva il documento, non ne aveva ancora denunciato lo smarrimento. Aveva invece già in precedenza smarrito altri tre documenti. 

 

Alla luce dell’aggravarsi della situazione nei territori occupati dalle milizie dell’Isis e della minaccia del terrorismo islamista, ci si chiede infatti a che punto è l’operato della coalizione. Roberta Gisotti ha intervistato Arturo Varvelli, esperto dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), a capo del programma sul Terrorismo:

R. – Quello che abbiamo visto finora è una sorta di contenimento che la coalizione internazionale è riuscita ad effettuare del fenomeno “Stato islamico”. Contenimento per quanto riguarda la sua espansione territoriale – quindi un obiettivo, il primo – è stato raggiunto e bisognerà passare a un secondo obiettivo che è quello dell’annientamento dello Stato islamico. In realtà, bisognerebbe poi focalizzarsi su un terzo obiettivo, che è fondamentale per la portata generale dell’intervento, che è un intervento più politico: cioè, che cosa fare di Paesi il cui collasso ha permesso il proliferare dello Stato islamico. Parliamo in particolar modo di Siria da una parte e di Iraq dall’altra, che sono essenzialmente le cause della nascita di Isis. Quindi, da questi incontri ci aspettiamo qualcosa di più sul secondo e sul terzo punto.

D. – Quali sono però gli equilibri all’interno della coalizione? Sappiamo della presenza di diversi Stati arabi…

R. – E’ essenziale che la coalizione proceda naturalmente con un’unica volontà politica. Quello che abbiamo visto in passato, in interventi internazionali, ad esempio in quello in Libia, è che la comunità internazionale interviene con diversi intenti e subito dopo la fine del conflitto, o anche durante il conflitto, gli attori, pur appartenendo a una coalizione internazionale, agiscono ognuno indipendentemente, per i propri interessi nazionali, appoggiando una fazione rispetto ad un’altra. E’ quello che è successo anche nella guerra siriana e che ha permesso un proliferare di Isis. Quindi, in realtà è necessario che prima di pensare ad azioni in gioco l’una contro l’altra, ci debba essere una volontà comune a livello internazionale. Paesi molto diversi partecipano alla coalizione internazionale. I Paesi arabi hanno rivalità interne molto forti. Abbiamo visto un’adesione dell’Egitto, ma ci sono anche altri Paesi che hanno approcci molto diversi.

D. – Ma dobbiamo aspettarci di più da una possibile azione militare condivisa o invece da mediazioni politiche?

R. – L’ipotesi, che sembra sia stata scartata, è ancora quella di mettere “boots on the ground”, cioè di scendere sul terreno direttamente con i militari della coalizione: questa sembra un’ipotesi scartata, ma sarebbe certamente un’ipotesi che porterebbe a diverse problematiche. La soluzione che si sta provando è di armare ulteriormente altri gruppi, come ad esempio i curdi, che finora hanno fatto fortemente da argine alla penetrazione di Isis in nuovi territori. Anche questo alla fine potrà causare ulteriori e nuovi problemi. Pensiamo se vincessero i curdi, se riuscissero ad avere la meglio su Isis, alla fine delle vicende potrebbero reclamare uno spazio di indipendenza o di autonomia. Quindi, mentre noi interveniamo dobbiamo essere consapevoli delle conseguenze che noi stiamo già causando. Sono situazioni che noi abbiamo già visto, che si sono verificate con l’Afghanistan. Quella dell’Afghanistan è un’ipotesi che fa scuola: armavamo gli insorgenti afghani contro l’Unione Sovietica e abbiamo finito per creare i talebani. Quindi, i pericoli sono esattamente quelli.








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