2015-01-26 14:57:00

Giornata Memoria. Graziano Sonnino: salvato da un sacerdote


Ricorre domani, nel 70.mo anniversario della liberazione dal campo di concentramento di Auschwitz, la Giornata internazionale in memoria della vittime della Shoah. Instancabile l’impegno degli ormai pochi testimoni ebrei reduci dai campi di concentramento nazista nel tenere vivo tra i giovani il ricordo di una minaccia sempre viva. Graziano Sonnino all’età di 9 anni, insieme al fratello Mario e al cugino Marco Pavoncello, riuscì a sfuggire ai rastrellamenti del 16 ottobre 1943, trovando rifugio nel Collegio gesuita di Mondragone, vicino Frascati, grazie all’ospitalità di padre Raffaele de Ghantuz Cubbe, riconosciuto poi “giusto fra le nazioni”.  “I miei genitori – racconta Sonnino – trovarono rifugio nella Basilica Vaticana”. Ascoltiamolo  nell’intervista di Paolo Ondarza:

R. – Se riesco a parlare, se sono vivo è perché, precedentemente al 16 ottobre, mia mamma, che era incinta, aveva il terrore dei bombardamenti – e noi eravamo totalmente all’oscuro di quanto sarebbe accaduto dopo, il 16 ottobre con la deportazione – e mio padre decise di allontanarsi dalla casa di nostra proprietà. Siamo scappati. Andando dove? Siamo andanti a Monte Porzio Catone, dove c’era una vecchia balia delle sorelle di mio padre, che ci ha ospitati in casa… Per questo motivo – la paura di mia madre – noi non ci trovammo il 16 ottobre a Roma, dove arrivarono i tedeschi, con i fascisti vicino e l’elenco delle persone ebree che abitavano nel nostro palazzo di Via Arenula 41. Purtroppo, una sorella di mio padre non era fuggita, si trovò nella casa e fu deportata, assieme ai bambini: l’età totale delle quattro persone – mia zia e tre bambini – formava 30 anni. Da quell’ora, da quel minuto, in cui sono stati presi dai nazisti, sono spariti. E spariti significa drammaticamente uccisi e non si è più saputo dove, quando e perché…

D. – Di loro non avete avuto notizie?

R. – Non abbiamo avuto notizia alcuna: il marito, per tutta la vita, li ha cercati in tutta l’Europa, in tutto il mondo, in tutta la Germania, per capire se fossero morti, dove fossero morti o se si fosse salvato qualcuno.

D. – Poi, però, anche da Monte Porzio siete dovuti scappare…

R. – Era invaso dai tedeschi anche questo paesino. Con l’intento di fuggire dai tedeschi, di allontanarci dai tedeschi, andammo via da Monte Porzio per andare nella campagna romana, dove c’era un podere, il podere di un amico di mio padre. Ci trasferimmo in questo nuovo locale, dove fisicamente siamo rimasti per qualche tempo…

D. – Abitazione che, comunque, non era al riparo dalla minaccia nazista?

R. – No, no, assolutamente no. Però, isolati dal mondo… A questo punto mio padre – sempre tramite amicizie, perché mio padre era ben voluto a Roma – prese contatti con alcuni cattolici di Frascati e riuscì per me, Graziano Sonnino, e l’altro fratello mio, Mario Sonnino, a organizzarsi e farci entrare nel Nobile Collegio di Mondragone, che in fase molto ristretta – dati i tempi e data la guerra – funzionava ancora per i bambini cattolici di tutto il mondo. Abbiamo nascosto i nostri veri cognomi e a Mondragone siamo entrati col nome di Sbardella Graziano e Sbardella Mario, come collegiali normali e nessuno sapeva – salvo padre Cubbe – della nostra identità religiosa e del fatto che fossimo ebrei.

D. – La vostra vita familiare fu completamente sconvolta…

R. – No, non c’era più! Papà – me lo ricordo adesso – quando ci accompagnò in questo Collegio ci disse: “Ragazzi, state qua, state buoni, siate sereni. E se il mondo va bene, ci rivedremo quando sarà possibile”. Sparirono per tutto il resto dell’anno…

D. – Avete trovato accoglienza in particolare nella persona di padre Cubbe?

R. – Padre Cubbe era l’unico che sapeva della nostra identità religiosa. La nostra circoncisione è stato per noi un dramma: non potevamo far vedere agli amici e agli altri bambini che eravamo circoncisi. Abbiamo sempre, sempre, sempre nascosto la nostra identità religiosa, che eravamo cioè degli ebrei.

D. – Quando foste accolti da padre Cubbe, la sua fu una ospitalità generosa e incondizionata…

R. – Uguale agli altri alunni, perché lì facevamo scuola come tutti.

D. – Cosa significò vivere nascosti tra compagni di scuola che non conoscevano la vostra reale identità?

R. – C’erano i figli Galeazzo Ciano, c’erano i Pio di Savoia, c’erano i nipoti del principe abissino… Eravamo coetanei, giocavamo, stavamo tutti insieme. Io servivo la Messa, ero accanto al prete che diceva la Messa in latino: ho imparato tutto della religione cattolica… Una volta a pranzo ci diedero il prosciutto: tutti i ragazzi – i 200 che eravamo – fecero festa a queste fette di prosciutto che ci avevano servito. Uno dei ragazzi, siccome noi avevamo lasciato il prosciutto sul nostro piatto, ci disse: “Ma siete ebrei, che non mangiate il prosciutto?”. Naturalmente quel momento – personalmente lo ricorderò per tutta la vita... un’ossessione! – presi questo prosciutto e lo misi in bocca per far vedere che lo stavo mangiando e dicevo: “Ma che dici, ma che sei scemo? Io lo mangio il prosciutto!” e lo misi in bocca. Purtroppo mastica, mastica, mastica, ma non riuscivo a ingoiarlo: in quel momento ci fu un mitragliamento-bombardamento a Roma tra gli aerei tedeschi e gli aerei americani, tutti i ragazzi uscirono nel terrazzo per vedere questi aerei, allora io presi il boccone di prosciutto, che non mi scendeva giù e lo buttai, senza farmi vedere, nel bagno… E lì fini l’episodio. Ma avevamo il terrore di essere scoperti.

D. – Padre Cube ha rischiato?

R. – Ha rischiato la vita! Abbiamo saputo, dopo, che se avessero saputo che eravamo nascosti là, sarebbe stato ucciso.

D. – Controlli ce ne furono mai?

R. – Mai. Per fortuna Mondragone, per volontà dell’allora Papa Pio XII, non fu mai bombardata e i tedeschi non entrarono mai nel portone di Mondragone.

D. – E in seguito, lei ha potuto riabbracciare i suoi genitori?

R. – Sì, dopo…

D. – Come si erano nascosti?

R. –. Oltre a noi quattro figli – due maschi dai preti e due femmine dalle monache – mio padre e mia madre, col mio fratellino Sergio, piccolo, appena nato, riuscirono ad entrare dentro la Basilica di San Pietro: lì si nascosero e v rimasero fino alla liberazione. Poi, ci vennero a riprendere…

D. – Che cosa vuol dire, alla luce di questo dramma enorme, essere un sopravvissuto?

R. – Da buoni italiani e da buoni romani siamo rimasti a Roma, ma sempre con questo timore, che potesse riaccadere…

D. – Si sente di lanciare un messaggio per le giovani generazioni?

R. – Che il mondo, le generazioni, gli uomini, tutti, facciano qualcosa affinché quello che noi abbiamo subito, solo perché di religione ebraica, non possa più avvenire.








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