2015-01-27 12:24:00

Papa: Auschwitz grida dolore immane e invoca futuro di pace


Testimonianze, preghiere, l’impegno affinché tragedie come l’Olocausto non accadano mai più. Questi momenti hanno scandito le cerimonie che si sono svolte ad Auschwitz, a 70 anni dalla liberazione del campo di concentramento, dove morirono per mano dei nazisti oltre un milione e 200mila persone, di cui il 90% di origine ebraica. In tweet il Papa ha scritto: ""Auschwitz grida il dolore di una sofferenza immane e invoca un futuro di rispetto,pace ed incontro tra popoli". Il servizio di Davide Maggiore:

“Questo è il posto dove la nostra civiltà è crollata, dove l’essere umano è stato ridotto a un numero”, ha detto il presidente polacco Bronisław Komorowski aprendo le commemorazioni nel luogo diventato sinonimo dell’orrore nazista. Ad ascoltare il suo discorso, i rappresentanti di numerosi governi. Tra loro, il presidente tedesco Joachim Gauck, che in Parlamento aveva spiegato come la Germania abbia superato “la vergogna” del nazismo, diventando esempio di rispetto dei diritti umani.

In precedenza anche il capo di Stato francese François Hollande aveva condannato l’antisemitismo contemporaneo, così come da Washington ha fatto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Prima della simbolica accensione di candele davanti al cosiddetto “cancello della morte”, a risuonare ad Auschwitz sono state però soprattutto le parole dei sopravvissuti. Circa 300 hanno partecipato alle commemorazioni e alcuni hanno raccontato le vicende orribili di cui sono stati vittime e testimoni. Un minuto nel lager “era come un giorno, un mese come un’eternità”, ha testimoniato Roman Kent: uno degli ultimi “guardiani della memoria” già ricordati dal presidente polacco. 

 

Solo ad Auschwitz vennero uccise un milione di persone. Paolo Ondarza ripercorre quei momenti con le testimonianze di chi si è salvata dallo sterminio

Una giornata per ricordare la Shoah, dalle leggi razziali alla persecuzione, dalla deportazione allo sterminio di circa 12 milioni di persone nei lager, 6 milioni dei quali ebrei, ma anche dissidenti politici, disabili, sinti e rom, omosessuali, testimoni di Geova. 1,5 milioni i bambini. Una giornata per ricordare anche coloro che a rischio della propria esistenza protessero i perseguitati. Nel campo di concentramento di Auschwitz, costruito dai nazisti per realizzare la "soluzione finale" contro gli ebrei in Europa, vennero eliminate oltre un milione di persone. Piero Terracina: fu deportato lì con tutta la famiglia, composta da 8 persone. Fu l’unico a tornare in Italia e il negazionismo è oggi per lui un insulto insopportabile:

"Come si può negare? Quando io dico: siamo partiti in otto della mia famiglia e quando sono ritornato mi sono ritrovato solo, ma dove sono finiti gli altri? Quando io parlo della deportazione del 16 ottobre 1943 da Roma – quando furono deportati 1.023 innocenti, compreso un bambino ancora senza nome, e sono tornati in 16! – che cosa possono dire? Che sono scomparsi? Certo, ad Auschwitz non risulta che siano arrivati. Ma io me li ricordo. Me li ricordo lì, sulla rampa dell’arrivo, l’abbraccio di mamma, le parole di papà… ricordo tutto! Sono tornato solo, di otto persone…".

A Birkenau, a soli 13 anni, Sami Modiano, ebreo di Rodi, perse tutti gli affetti. Oggi, spende ogni energia nel raccontare l’orrore subito perché non si ripeta più:

"Poi, ad un certo momento, quando stai in quell’inferno, ti rendi conto che da Birkenau non c’era nessun’altra via di uscita che la morte. E di fatto, molti si rendevano conto di questo e decidevano di farla finita: si buttavano contro i fili spinati nei quali passava l’alta tensione, e morivano fulminati… Ho una piaga che non si chiuderà mai più. Ho i miei silenzi, i miei incubi, le mie depressioni. Continuo ancora a soffrire. Specialmente quando incontro i ragazzi e devo spiegare tutto questo: per me è un dolore enorme, ma lo faccio. Lo faccio perché ho capito che il Padre Eterno mi ha scelto per trasmettere a questi ragazzi, che fanno parte di questa nuova generazione la memoria di ciò che ho vissuto, perché non si ripeta".

Varie le manifestazioni organizzate oggi in tutto il mondo. Nel suo messaggio, il segretario Onu, Ban Ki-moon, mette in guardia da nuove forme di antisemitismo e intolleranza e chiede di intensificare ogni sforzo contro una minaccia ancora viva.

Per Liliana Segre, deportata a 13 anni ad Auschwitz-Birkenau, la Giornata della Memoria è un'occasione per riaprire l'armadio della vergogna che qualcuno ancora vorrebbe chiudere: i suoi ricordi sono raccolti nel libro edito da Piemme “Fino a quando la mia stella brillerà”. Fabio Colagrande l’ha intervistata:

R. – Io ero una bambina molto serena, molto amata, anche viziata, coccolata, in una famiglia che era tutta proiettata verso di me, e da quel momento ho conosciuto un mondo diverso, indifferente a quello che succedeva a un piccolo gruppo di cittadini italiani di religione ebraica, che sono stati per lo più ignorati dai vicini di casa. Tanto che dopo la guerra, quando io ho ritrovato delle compagne di scuola, che non si erano neanche accorte della mia assenza, mi hanno chiesto: “Ma tu dov’eri finita?” Io avrei dovuto rispondere “ad Auschwitz”, ma allora non avevo ancora la forza per farlo.

D. – Nel treno che la portava ad Auschwitz, con suo padre e con tante altre persone, a un certo punto dice: “Mi resi conto di essere diventata adulta”…

R. – Fu questo un viaggio verso ignota destinazione di persone normali, che salivano come persone e scendevano come scendono gli animali che vanno al macello da quei vagoni: c’era tutto un percorso, che non era solo di chilometri attraverso la Foresta Nera o altri luoghi a noi sconosciuti. Era un percorso interiore: di affetti, di amore, di ultime parole, di ultimi sguardi di gente che poi all’arrivo è morta.

D. – Perché in quel momento lei si è sentita adulta?

R. – Beh, io ero sempre stata la bambina di mio papà, ma ormai ero io che proteggevo lui nella sua disperazione, perché è molto più facile sopportare una cosa simile da figli che da genitori. Quando io sono diventata mamma e poi nonna ho capito fino in fondo la disperazione che doveva avere avuto il mio papà. E io in quel momento ero contenta di fargli sentire tutto il mio amore.

D. – Lei racconta che nei giorni trascorsi ad Auschwitz si affidò all’istinto di sopravvivenza e riuscì con la mente a fuggire da ciò che viveva…

R. – Con il mio papà ero abituata a guardare il cielo. Mi aveva portato anche al Planetario. Era un mondo affascinante quello delle stelle e quindi io avevo cercato di guardare il cielo anche ad Auschwitz e avevo fatto un gioco infantile con me stessa: identificarmi in una stellina. Non bastavano, però, questi piccoli giochi per sopravvivere, bisognava farcela giorno dopo giorno…

D. – Lei racconta il grande rimorso che ha avuto nei confronti di una ragazza morta ad Auschwitz, Janine…

R. – Lavoravo alla macchina con questa ragazza francese da tempo e quindi si era creata fra noi una vicinanza, che non era poco nel campo di concentramento. Ma io non accettavo più distacchi, non potevo più sopportare di attaccarmi a qualcuno e poi vedermelo strappare. Mi ero fatta, quindi, una corazza. Così quando, dopo una selezione da cui ero appena passata viva, sentii che fermavano Janine, perché la macchina le aveva trinciato due falangi di due dita – fu orribile e lo racconto sempre ogni volta che parlo ai ragazzi –  non ho avuto la forza di voltarmi, di guardarla e di dirle una parola buona, di chiamarla per nome. Ho fatto un passo avanti, mi sono rivestita, anche se sapevo che andava al gas. Non me lo sono mai perdonato.

D. – Ormai da 25 anni ha deciso di raccontare questa pagina oscura della sua vita. Sente che la gente vuole sapere?

R. – Nelle scuole sicuramente sì. I ragazzi danno una risposta molto interessante, fanno un’infinità di domande. In altri casi, fuori dell’ambito scolastico, io parlo pochissimo di questo argomento. Soprattutto tra i miei coetanei, ormai tutti vecchi, c’è sempre o un po’ di morbosità o di grande ignoranza o volontà di chiudere quell’armadio della vergogna, una vergogna anche italiana.

D. – Chi vorrebbe che leggesse questo libro “Fino a quando la mia stella brillerà”?

R. – Mah, io sono una nonna e le nonne hanno sempre raccontato le storie, che una volta erano fiabe cattive, ma finte. Invece io ho scritto una storia vera, dedicata ai miei nipoti ideali e come tale spero che la leggano.








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