2015-01-29 13:40:00

Onu chiede 3 miliardi di dollari per aiutare sfollati e rifugiati siriani


Continua l’emergenza umanitaria in Siria. Le Nazioni Unite hanno reso noto di aver bisogno di 2,9 miliardi di dollari per gli aiuti umanitari alla popolazione, dopo che la comunità internazionale quest’anno ha versato solo la metà di quanto pattuito. In oltre quattro anni di conflitto sono ormai 12 milioni i siriani che vivono in condizioni di difficoltà. 4 milioni sono i rifugiati e 7 milioni e mezzo gli sfollati. Per un punto sulla crisi nel Paese, Michele Raviart ha intervistato Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Alto Commissario Onu per i rifugiati:

R. – Siamo di fronte ad un Paese – la Siria – che si è svuotato per la metà: un Paese di 22 milioni di persone che vivevano con un certo livello di prosperità e che ora per metà è vuoto. E’ come se potessimo pensare ad alcune città italiane che al momento fossero state svuotate del tutto dei loro abitanti. Sono almeno 4 milioni i siriani fuggiti nei Paesi vicini e che sono registrati con noi come rifugiati, ma riteniamo che ve ne siano anche molti altri in altri Paesi molto più lontani: al momento ci sono siriani che hanno trovato riparo addirittura in Malesia, in Brasile … E poi, ve ne sono quasi 7 milioni che sono scappati all’interno del Paese e che continuano a fuggire, perché in media queste persone sono già scappate 10 volte da un posto all’altro …

D. – Come vivono queste persone?

R. – La maggior parte di loro vive svegliandosi, ogni giorno, nella speranza che tutto questo finisca il prima possibile, perché hanno difficoltà materiali enormi. In più, hanno anche grandi difficoltà psicologiche: infatti, molte di queste persone sono scappate perché hanno perso i parenti più stretti – figli, genitori – o loro stessi sono stati feriti, anche gravemente, per cui abbiamo molti disabili; abbiamo moltissime donne sole, i cui mariti sono scomparsi; abbiamo bambini orfani che vengono presi in carico da famiglie loro vicine … Siamo di fronte ad una crisi umanitaria senza precedenti e purtroppo, al momento, non abbiamo è in vista una soluzione politica …

D. – Per la maggior parte, i rifugiati si trovano in Giordania, Libano e Turchia. Come sono accolti, e quali sono le loro prospettive di vita nei Campi profughi?

R. – In quei Paesi, solo una minima parte di loro vive nei Campi. Per farvi l’esempio della Turchia: circa 230 mila rifugiati siriani vivono nei Campi che sono costruiti dal governo turco – sono 26 Campi lungo il confine tra Turchia e Siria; ma si calcola che almeno un milione e mezzo, un milione e 700 mila persone invece siano nelle città, nei villaggi della Turchia. Lavorano quando è possibile, perché non hanno un reale permesso di lavoro e quindi lavorano in nero, fanno piccoli lavori e cercano di guadagnarsi la sopravvivenza giorno per giorno, minuto per minuto. La stessa situazione si trova in Giordania, dove solo il 20% di rifugiati vive nei Campi, e in Libano, dove ci sono moltissimi rifugiati: una popolazione di circa 4 milioni di abitanti ha una popolazione di un milione e mezzo di rifugiati; ci sono 400mila bambini siriani che devono andare a scuola su 300mila bambini libanesi che vanno a scuola. Quindi, lì hanno dovuto fare due, tre, quattro turni al giorno. In particolare in questi mesi, in cui c’è stata una terribile tempesta che ha portato neve, freddo e gelo abbiamo avuto, purtroppo, anche dei bambini che sono morti di freddo.

D. – I siriani che hanno bisogno di aiuti umanitari sono – abbiamo detto – 12 milioni; il 40% di loro ha difficoltà a ricevere, proprio materialmente, questi aiuti. Quali sono i problemi? Perché avviene questo?

R. – Il problema è l’entità degli aiuti. Altre agenzie delle Nazioni Unite, come il World Food Program, a dicembre – per esempio – ha dovuto sospendere le razioni alimentari e poi ridurle; noi pensiamo ad un programma che permetta di soddisfare le persone e di far fare loro una vita dignitosa e adeguata, ma chiaramente se abbiamo la metà dei fondi a disposizione, dobbiamo ridurre, ridurre, ridurre. Quindi, quello che ricevono è la metà di quello di cui hanno bisogno. In più, le operazioni particolari di distribuzione degli aiuti talvolta possono essere molto difficili, soprattutto in quelle zone in cui i gruppi che si contendono il territorio cambiano in continuazione. Vi sono situazioni estremamente volatili.

D. – In particolare, 600mila siriani non riescono a ottenere aiuti nelle città controllate dal sedicente Stato Islamico: qual è la situazione in queste zone?

R. – Estremamente drammatica, perché non ci sono le condizioni per poter fare la distribuzione in sicurezza, né per il personale ma neanche per la popolazione che li riceve, perché rischiano di essere attaccati entrambi. Recentemente sono state attaccate, nei Campi, persone che avevano tirato su tende spontaneamente, e sono morte decine di persone. Questa situazione è presente anche in molte province del Nord dell’Iraq, ad esempio, che sono controllate dalle milizie del cosiddetto Stato Islamico. Noi facciamo operazioni che chiamiamo "cross-border", cioè operazioni che partono da un Paese, entrano velocemente in Siria per consegnare e stiamo cercando di potenziarle, anche appoggiandoci su associazioni locali che possono aiutarci.








All the contents on this site are copyrighted ©.