2015-01-30 13:01:00

Alluvioni Malawi: contadini alla fame, 200 mila gli sfollati


Dopo le alluvioni che hanno sconvolto il sud del Malawi e l’appello del Papa che ha chiesto alla comunità internazionale di rispondere ai bisogni di chi soffre, il Paese fa la conta dei danni: è di almeno 54 milioni di dollari, secondo il governo, la cifra che servirebbe per rimettere in piedi l’economia locale, una delle più povere del mondo. Le inondazioni sono state anche al centro della plenaria dei vescovi malawiani, che stanno mobilitandosi per dare accoglienza alle famiglie che hanno perso tutto. Della situazione della popolazione, in particolare dei contadini rimasti senza niente, Roberta Barbi ha parlato con Francesco Coco, un italiano che da anni vive e lavora in Malawi:

R. – La situazione è molto critica, soprattutto nel Sud del Paese, dove le piogge e le inondazioni sono state più forti. A Lilongwe, nella capitale, non ci si accorge molto di quello che sta succedendo: ci sono black-out quotidiani, ma a parte quello non c’è grande emergenza. Nel sud del Paese, invece, che è la zona più popolata e più produttiva, ci sono quasi 200 mila sfollati, quasi 80 morti e 100 mila famiglie che hanno perso quel poco che avevano. A questo si aggiunge poi anche il rischio, ovviamente, delle malattie.

D. – Il Malawi è essenzialmente un’economia agricola. L’anno scorso ha registrato una produzione record di mais e un aumento del raccolto di cereali pari all’8%, che aveva contribuito a ridurre l’insicurezza alimentare nel Paese. Quali sono le conseguenze delle alluvioni su questo settore?

R. – Le conseguenze sono abbastanza serie non solo sul settore agricolo, ma su tutti gli altri settori, perché il settore agricolo è quello trainante dell’economia, quello principale. L’agricoltura rappresenta circa il 30% del prodotto interno lordo. L’85% della popolazione si dedica all’agricoltura, con tutto quello che ne deriva: tutte le attività economiche fondamentalmente dipendono dalla salute dell’agricoltura. Agricoltura che resta un’agricoltura – salvo il tabacco e il tè – di sussistenza, con tutte le conseguenze che ne derivano per le famiglie che sono legate fondamentalmente al ciclo delle piogge. Se un raccolto va male, si ritrovano in una situazione molto, molto drammatica.

D. – Il governo locale ha stanziato 16 milioni di dollari per l’emergenza e anche la Fao ha fatto sapere che si mobiliterà. Di cosa hanno bisogno i contadini?

R. – Intanto, chi ha perso la casa ha bisogno di ritrovare un tetto; chi ha perso il raccolto, ha bisogno di semi, di fertilizzanti e di rimettersi in carreggiata il più presto possibile, altrimenti questo rischia di essere un anno terribile per la maggior parte della popolazione. Oltre a questo, ovviamente, c’è bisogno di sapone e di tutto quello che può aiutare a mantenere un livello d’igiene accettabile, affinché non si propaghino malattie legate alla mancanza di misure sanitarie basiche, come la diarrea, il colera e la malaria, che qui possono uccidere molto facilmente.

D. – E poi, come sempre accade in caso di calamità naturale, c’è il problema degli sfollati…

R. – Ci sono circa 200 mila sfollati che vivono nelle tende, in questo momento, probabilmente con un accesso all’acqua molto difficile, con un accesso al cibo molto difficile e con un accesso a strutture sanitarie quasi impossibile. Alcune zone sono addirittura raggiungibili solo via elicottero in questo momento, oppure con cinque, sei, sette ore di “quattro-per-quattro”. C’è anche da dire che normalmente le condizioni di vita di queste persone non sono molto al di sopra di quelle in cui si trovano adesso: le case in cui vivono normalmente non hanno acqua corrente, non hanno elettricità, però rappresentano tutto quello che hanno, assieme al loro bestiame e a tutte le cose che servono per vivere quotidianamente. E per la maggior parte di queste persone, tutto questo è andato irrimediabilmente e per sempre perduto, probabilmente.

D. – Cosa può fare la comunità internazionale?

R. – Direttamente non può fare molto, oltre che occuparsi delle emergenze: portare cibo dove c’è bisogno, portare sapone, portare medicine… Questo nell’immediato. Nel lungo termine, però, è il governo malawiano che deve occuparsi di questa situazione e quello che può fare la comunità internazionale è supportare il governo sia da un punto di vista economico, ovviamente, ma anche da un punto di vista della capacità. Il problema è che il Malawi è in uno stato di povertà permanente. Parliamo di uno dei Paesi più poveri al mondo: al di là del disastro, c’è un bisogno costante. Ogni anno ci sono centinaia di migliaia di persone che sono a rischio sicurezza alimentare: questo non vuol dire che tutti muoiano di fame, ma vuol dire che basta poco perché questa soglia venga scavalcata, venga superata.








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