2015-02-01 09:30:00

Cresce la tensione in Venezuela per la crisi economica


Si discute in Venezuela sulle ultime misure volute dal governo: in particolare l’autorizzazione all’uso delle armi da parte delle Forze dell’Ordine per disperdere manifestazioni pubbliche.  L’opposizione parla di decisione ‘‘incostituzionale”, in contrasto con l’articolo 68 della Carta che vieta l’uso delle armi da fuoco per contenere raduni pacifici. Da febbraio dell’anno scorso il Venezuela è attraversato da una pesante ondata di violenze che accompagnano le proteste contro la crisi. Della situazione economica del Paese dell’America Latina, Fausta Speranza ha parlato con Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:

R. – E’ un Paese ricco di risorse - petrolio in particolare - ma con gli scaffali vuoti; con una inflazione al 60 per cento e con una recessione che lo scorso anno era meno 3 per cento, il peggior risultato fra le principali economie del mondo;  con un deficit al 10 per cento, il peggior risultato fra le principali economie del mondo; e con l’azienda petrolifera, che è il tesoro del Paese, fortemente indebitata.

D. – Come si è arrivati a questa situazione?

R. – Si è arrivati con una politica che aveva obiettivi positivi – quello anzitutto di trasferire la ricchezza ai ceti più deboli, aiutare la popolazione povera e condividere e ridistribuire questo petrolio, che è il tesoro del Paese, ma questa politica è stata poi realizzata in modo negativo: è stata realizzata, di fatto, in modo molto assistenzialista e distruggendo l’economia del Paese. E’ un Paese che non produce nulla e che deve importare tutto, ma che in questo momento non ha i soldi per poter importare.

D. – Sicuramente c’è anche una congiuntura internazionale negativa, già – per esempio – sul prezzo del petrolio?

R. – Sicuramente il petrolio ha dato il colpo mortale all’economia venezuelana. Il petrolio è la principale esportazione e i proventi sono passati nel giro di pochi mesi da 65 miliardi a 35 miliardi: si sono dimezzati. Questo ha reso ancora più evidenti i problemi strutturali che già si intravvedevano da anni.

D. – Sul piano geopolitico, sappiamo tutti che un effetto dell’indebolimento del Venezuela è quello che non può più appoggiare Cuba. Ma altre considerazioni di questo tipo sul piano geopolitico?

R. – Abbiamo un’immagine molto emblematica di questi giorni: i viaggi del passato dei leader venezuelani  - Chávez prima e Maduro dopo – erano viaggi a portare soldi a Cuba, ma anche alla Bolivia e ad altri Paesi che venivano appoggiati nella logica della rivoluzione bolivariana.  L’ultimo viaggio di Marudo – appena terminato – è stato invece un viaggio in Russia, in Cina e nei Paesi Opec a cercare soldi e a cercare disperatamente una politica di aumento del prezzo del petrolio per risollevare le sorti del Paese. C’è un cambio drastico e questo ultimo viaggio, peraltro, non ha prodotto i risultati che Maduro voleva.

D. –  Con quale di questi interlocutori, forse, il dialogo potrebbe andare meglio?

R. – In questo momento molto probabilmente non certo con l’Opec, che guarda il Venezuela come molto distante, ma per motivi diversi anche con la Russia e la Cina: con la Russia perché cerca alleati in giro per  il mondo in questa fase di debolezza, al di là dei toni duri e di mancanza di alleati; e con la Cina che dimostra sempre una forte attenzione nei confronti di Paesi che forniscono prodotti preziosi come il petrolio in questo momento. Ma anche su questo la Cina, forte di accordi con la Russia e di  un mercato comunque più favorevole per il petrolio, non sembra ascoltare le richieste di aiuto che vengono dal Venezuela.








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