2015-02-01 15:49:00

Italia in prima linea nello sminamento, ma si teme per i finanziamenti


C’è preoccupazione da parte di chi, in Italia, da anni si occupa della lotta contro le mine: la preoccupazione che non solo il Fondo per lo sminamento umanitario quest’anno registri ancora tagli e tentativi di azzeramenti, ma che soprattutto il finanziamento continui ad avvenire attraverso diversi canali e non uno unico, quello della Legge di Stabilità. Gli interventi resi possibili grazie al Fondo sono in molte aree del mondo più che necessari. Nel corso degli ultimi tre decenni le mine e i residuati bellici hanno causato migliaia di morti e feriti. Nel 2013 i bambini hanno costituito quasi la metà delle 2403 vittime civili delle mine in tutto il mondo, nel solo Afghanistan le vittime tra i minori sono salite a 487, a seguire la Colombia, con 57 casi. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giuseppe Schiavello, direttore nazionale della Campagna italiana Contro le mine:

R. – Ci preoccupa che in questi anni il finanziamento di questo Fondo, che avviene in parte dalla legge di Stabilità e in parte dai Decreti Missioni, si sia spostato sul contare per il 75 per cento dello stanziamento proprio dai Decreti Missioni. Questo cosa significa? Che dato che i Decreti Missioni lavorano di fatto sulle emergenze, non si riesce bene a pianificare gli interventi che la nostra cooperazione potrebbe più agevolmente immaginare di pianificare se i finanziamenti arrivassero tutti dalla legge di Stabilità. Invece il Ministero degli Esteri, anno per anno, chiede sempre meno come quota parte fissa di questo finanziamento, affidandosi poi ai Decreti Missioni che, ricordiamo, vengono discussi ogni sei mesi, con relativi ritardi. Questo ci preoccupa un po’, perché significa legare questo Fondo a delle emergenze, a criteri un po’ instabili, mentre le emergenze che va a coprire sono emergenze che purtroppo  non si stanno esaurendo, perché con tutti questi conflitti in corso il problema è molto presente.

D. – Nei vari territori, purtroppo, interessati dalla tragedia delle mine antiuomo, l’Italia si è molto distinta nella sua azione a supporto delle popolazioni…

R. – Assolutamente sì! L’Italia è passata dal triste primato di essere uno dei Paesi tra i maggiori produttori di mine ad uno di quelli più impegnati su questo fronte. E’ proprio per questo che noi crediamo che l’Italia sia nelle condizioni di essere premiata per questo suo sforzo e di essere credibile in tutti i terreni, anche in quello diplomatico. L’Italia si è spesa molto sia per la Convenzione di Ottawa, per la proibizione delle mine antiuomo, sia per quello che riguarda la Convenzione sulle munizioni a cluster, che anche oggi rappresentano un pericolo per i civili perché rimangono inesplose sul terreno. L’Italia ha sempre supportato progetti per la bonifica di ordigni inesplosi, a supporto delle popolazioni colpite e dei sopravvissuti. E’ un’emergenza, questa, che non è superata, è vero che le mine sono state messe al bando, così come le cluster bombs, però purtroppo vengono ancora utilizzate in alcuni contesti, mentre in altri ci sono contaminazioni che risalgano a 30-40 anni fa.

D. – La Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo, nel dicembre scorso, sottolineava un dato positivo: il numero delle vittime di mine e di altri residuati bellici è diminuito e nel 2013 si è arrivati alla soglia più bassa dal 1999. Accanto, però, c’è purtroppo l’aumento dei bambini vittime di questi ordigni…

R. – Di fatto bisogna sottolineare due cose. Prima di tutto il Landmine Monitor Report fa riferimento a dati certissimi, nel senso che spesso le vittime in percentuale sarebbe un pochino in più, perché noi sappiamo che nei territori non facilmente raggiungibili le vittime non vengono registrate. L’altro problema è che le persone maggiormente esposte sono i bambini perché sono curiosi, tendono a giocare con tutti gli oggetti che trovano. Le cluster, per esempio, sono gialle con un piccolo paracadute attaccato e i bambini ci giocano tirandosele uno con l’altro e queste esplodono a mezz’aria uccidendo 4-5 persone. Peraltro le cluster inesplose sono di fatto anche più potenti delle mine antipersona. Certamente l’emergenza non è finita, siamo sulla buona strada, ma riteniamo che ci sia ancora del lavoro da fare. L’Italia si sta impegnando in maniera estremamente credibile, sia con competenze a livello di bonifica umanitaria, sia con tante altre attività correlate. Non ultima: l’attenzione che l’Italia sta riservando alle persone con disabilità in contesti di emergenza. E’ proprio per questo che noi non capiamo perché poi il Ministero, in fase di programmazione annuale, non ponga un’attenzione maggiore alla dotazione di questo Fondo. Però crediamo che se tutto questo v errà messo in evidenza, il tiro verrà certamente corretto.

D. – Per quanto triste possa essere compilare la lista dei Paesi che sono colpiti dalle mine antiuomo, sappiamo che in testa c’è l’Afghanistan, seguito poi dalla Colombia. Ma quali sono le aree che in questo momento vi preoccupano di più?

R. – Certamente la Siria, non sappiamo quello che si troverà nel momento in cui le organizzazioni umanitarie potranno veramente fare un assessment per valutare quale sia l’impatto. L’Afghanistan soffre da decenni e decenni di guerre e le mine antipersona sono state utilizzate in maniera molto massiva. Tutti gli scenari di guerra recenti poi riserveranno delle sorprese in questi termini.








All the contents on this site are copyrighted ©.