2015-02-02 13:53:00

Sud Sudan: nuovo accodo di pace tra presidente e ribelli


Cauto ottimismo in Sud Sudan, dove il presidente Salva Kiir e il capo dei ribelli, l'ex vicepresidente Riek Machar, hanno siglato un nuovo accordo per porre fine al conflitto che devasta il giovane Paese africano dalla fine del 2013. L'intesa, firmata ad Addis Abeba dietro la mediazione dei governi regionali, è stata preceduta da altre tre mai rispettate dalle parti che si combattono e che hanno provocato migliaia di vittime e oltre un milione e mezzo di sfollati. Marco Guerra ha raccolto il commento del direttore responsabile della rivista dei Comboniani, "Nigrizia", padre Efrem Tresoldi:

R. – Direi che c’è un certo ottimismo ma non una speranza che questi nuovi accordi tra il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar portino veramente a una soluzione di questa tragica situazione di una guerra civile in Sud Sudan. Dico questo perché in effetti i due principali artefici di questa guerra civile sono ancora loro che dicono di essersi messi d’accordo per intraprendere un nuovo cammino. Nell’accordo si prevede infatti che per il governo di unità nazionale il presidente sia Salva Kiir, l’attuale presidente, e il vice presidente sia Riek Machar, l’ex vice presidente che è stato destituito nel luglio del 2013 dallo stesso Salva Kiir. Quindi si ritornerebbe indietro esattamente a quelle stesse posizioni di un anno e mezzo fa e quindi non c’è nessun progresso; sapendo che questo conflitto non potrà essere terminato perché appunto non c’è una volontà vera, di pace, perché poi sul campo continua la guerra, continua il conflitto, continuano le distanze, le distruzioni. Come hanno detto giustamente i vescovi, al termine del loro incontro, venerdì scorso: non possiamo più permettere che questi negoziati, trattative, accordi, vengano segnati, firmati, quando sul campo si continua a combattere. Occorre prima porre fine a questi combattimenti, poi questi accordi diventeranno un po’ più credibili.

D. – Cosa prevede nella sostanza questo accordo? C’è qualche altro punto importante da spiegare?

R. – Innanzitutto, questo accordo dovrebbe essere chiuso in tutti i dettagli il 5 marzo, quindi dobbiamo aspettare ancora un mese per vedere se da questa firma dei due leader scaturirà qualcosa di positivo. E un altro aspetto è il fatto che si è promesso di re-insediare quei leader dell’SPLM, che sono stati destituiti da Salva Kiir, appena dopo l’esplosione del conflitto, nel 2013, che vengono quindi reinsediati. Dunque, questo potrebbe essere un segnale di riconciliazione nazionale. Però, sono segnali molto deboli ancora, perché penso che questo accordo sia stato tirato un po’ a fatica, sotto pressione dall’Igad. L’Igad sarebbe il gruppo dei capi di Stato del blocco regionale, cioè dei Paesi limitrofi che si sono riuniti e hanno detto ai leader del Sud Sudan: mettetevi d’accordo, smettetela di combattere, cercate di trovare un accordo di pace. Hanno forzato la mano a questi due leader che hanno detto: sì, firmiamo questo accordo. Quindi questo non nasce dalla base, non nasce da una nuova prospettiva. Poi, direi, l’altro l’aspetto è che è inutile continuare a cercare di dar credito a questi accordi di pace quando continuano le due parti ad essere rifornite di armi da altri Paesi.

D . – A tre anni e mezzo dall’indipendenza com’è la situazione umanitaria?

R. – La situazione umanitaria è molto precaria. Sappiamo che c’è circa un milione e mezzo di sfollati e decine e decine di migliaia di persone uccise oltre a città e centri che sono stati completamente rasi al suolo, quindi la situazione è veramente molto precaria. Questi soldi che vengono spesi per le armi sono sottratti alle esigenze fondamentali della gente: avere garantito il cibo, una sicurezza, e la possibilità di muoversi, di ricominciare la loro vita.








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