2015-02-05 12:28:00

Los Angeles. mons. Gomez: malati terminali, "no" eutanasia


Los Angeles. Arcivescovo Gómez: no all’eutanasia per malati terminali
“Nessuno ha il diritto di decidere chi può vivere e chi no. Solo Dio può farlo”: scrive così mons. José Gómez, arcivescovo di Los Angeles, in un editoriale pubblicato dall’agenzia Aciprensa. La riflessione del presule arriva in un momento in cui lo Stato della California ha presentato il progetto di legge n. 128 del Senato che mira alla legalizzazione del suicidio assistito, tramite farmaci, per i malati terminali. Una proposta che la Chiesa locale respinge con forza, soprattutto pensando ad anziani e disabili, ed è per questo che mons. Gómez afferma: “Tra le numerose ingiustizie della nostra società, la più grave è l’abitudine di distruggere, ogni giorno, vite umane innocenti”. Si tratta di un problema, sottolinea il presule, che “non è soltanto culturale o politico, ma anche profondamente sia e spirituale”.

Eutanasia non è questione di fede, ma di diritti umani
L’arcivescovo di Los Angeles ribadisce che “il diritto alla vita è il fondamento di tutti i diritti umani” ed è per questo che “non possiamo permettere che prevalga la logica crudele secondo cui la vita umana è scartabile e, in alcuni casi, indegna di essere vissuta o tutelata”. “L’eutanasia, così come l’aborto – continua il presule – non è solo una questione di fede o di religione, bensì un problema basilare legato ai diritti umani e alla giustizia sociale. Sono temi che hanno a che fare con il tipo di società che siamo e con il genere di persone vogliamo essere”.

Tutelare la vita con coraggio ed amore, in ogni fase
Per questo, mons. Gómez sottolinea che “una società civile non risolve i problemi permettendo che le persone si suicidino o evitando che nascano i bambini. E non possiamo permetterci di arrivare a essere un popolo che risponde alla sofferenza umana eliminando i sofferenti”. Ricordando, poi, le parole di Papa Francesco sul dovere dei cristiani di “proteggere la vita con coraggio e con amore, in tutte le sue fasi”, il presule conclude il suo editoriale auspicando un impegno comune “al servizio della vita, di tutta la vita, specialmente di quella che necessita di maggiori cure ed attenzione”, perché “fintanto che ci sono i cristiani, nessuno deve soffrire da solo!”. (I.P.)








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