2015-02-06 13:52:00

Iraq. Mons Lingua: fermare afflusso di armi e combattenti


La Giordania non esclude attacchi di terra per neutralizzare la minaccia del sedicente Stato Islamico. Intanto, sono stati condotti decine di raid in Iraq e Siria in risposta all’uccisione del pilota giordano barbaramente ucciso. Atrocità sarebbero state commesse, secondo l’Onu, anche su migliaia di bambini iracheni. L’ayatollah Ali al Sistani, massima autorità sciita dell’Iraq, ha lanciato un appello alla comunità internazionale perché combatta l’Is. Al microfono di Benedetta Capelliil nunzio apostolico in Iraq, mons. Giorgio Lingua:

R. – Sapete come l’Isis costituisca ancora un pericolo e non si riesce, nonostante i bombardamenti e le strategie varie, a indebolirlo… Ultimamente, c’è stato questo video-shock del pilota giordano che è stato bruciato: sembra che sia proprio una strategia, quella di incutere terrore per dimostrare che sono forti.

D. – Ieri, l’Onu ha denunciato l’uccisione e la tortura da parte dell'Is anche nei confronti dei bambini. Si può dire che siamo arrivati a un livello atroce di disumanità?

R. – Certo, c’è materiale sufficiente per dimostrare che si tratti di atti barbarici… Io non so quanto tutto si possa verificare, perché sono poche le informazioni che arrivano da lì e sono spesso filtrate da loro stessi che le sfruttano per la propaganda del terrore. Non so caso per caso quanto sia vero, ma sappiamo bene quanto siano disumani certi atteggiamenti.

D. – Tanta violenza, anche nei confronti della popolazione, dei cristiani, anche delle minoranze in genere, cosa le suscita?

R. – Il primo sentimento è quello di disgusto e quasi di incomprensione. Uno dice: “Ma com’è possibile che l’umanità arrivi a certi punti, a certi limiti?”. E d’altra parte, come uomo di fede, non può venire meno questo sguardo rivolto a Dio in cui si chiede: “Pietà, Signore, pietà di noi peccatori”, chiedendo che tocchi il cuore di coloro che ce l’hanno così duro.

D. – Per i cristiani, qual è la situazione? Fonti non confermate  dicono che l’Isis, oltre a uccidere, ha anche imposto la rimozione dei simboli religiosi…

R. – Ma, anche questa sono notizie che non sono confermate. Parlavo con il Patriarca che mi diceva che non si possono verificare queste cose. Anzi, sembra che non sia vero, almeno non in tutti i casi. Che ci siano stati degli episodi, sì, ma non si può generalizzare. Io credo si debba fare attenzione a non incutere più terrore di quello che loro vogliono trasmettere, anche perché mi sembra che in questo momento i cristiani siano molto disorientati e sfiduciati, anche perché più il tempo passa più vivere in certe condizioni di precarietà influisce in modo molto negativo sull’atteggiamento, sulla speranza sia per il loro futuro, sia nel rapporto con i loro fratelli musulmani. Mi sembra si stia erigendo una barriera sempre più profonda tra cristiani e musulmani, per cui si arriva a sospettare di tutti, a non avere più fiducia anche nelle cose più normali... Si ha paura perché i cristiani si sono sentiti un po’ isolati e a volte anche traditi dai loro fratelli con i quali convivevano. E allora, ecco, credo sia importante cercare di andare al di là perché questi muri non diventino insormontabili. Comunque, ci vorrà sempre molto tempo per sanare queste ferite e questi blocchi psicologici.

D. – Secondo lei, cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per arginare questa spirale di violenza che sembra davvero non avere fine?

R. – Una delle prime cose è fermare la gente che continua ad affluire in questi territori con propositi bellicosi. Io credo poi che bisogna fermare anche il rifornimento delle armi, perché oggi noi vogliamo sapere di una mela se è prodotta in Nuova Zelanda, in Cile o se viene dal Trentino: è possibile che non riusciamo a controllare le armi? Dove vanno, in mano a chi vanno a finire? Quindi, la comunità internazionale dev’essere molto risoluta nel fermare l’afflusso di armi in questi territori.








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