2015-02-12 11:38:00

Al Festival di Berlino, il film italiano "Vergine Giurata"


Presentato oggi al Festival Internazionale del Cinema di Berlino “Vergine Giurata”, unico film italiano in concorso, opera prima della giovane regista Laura Bispuri, un film che esplora la dura condizione della donna nelle zone montagnose dell’Albania, sottoposta a leggi arcaiche e disumane. Il servizio di Luca Pellegrini:

In un territorio brullo, roccioso, duro e inospitale come quello che circonda il Nord dell'Albania, dove il tempo sembra essersi fermato, ancorato a leggi e tradizioni arcaiche, la vita delle donne è al contrario fragile, precaria, drammaticamente sottoposta e condizionata dalla figura maschile. Non c'è posto per loro, costrette unicamente al duro lavoro e ai soprusi familiari. Stride così la civiltà che è alle porte, oltre la striscia del Mediterraneo, verso la quale spesso si migra. Oppure, se si decide di restare, come nei secoli passati, ci si sottopone a un’antica legge delle montagne albanesi, il Kanun, riflesso di una cultura maschilista basata sull’onore, che consente alle donne che giurano la loro verginità per sempre di vivere e agire liberamente come un uomo, nascondendo tutto della propria femminilità e privandosi della possibile maternità. L'accetta Hana Doda, interpretata da una bravissima e algida Alba Rohrwacher, che così diventa per tutti Mark e questa scelta diventa la sua prigione. Fino a quando, fuggita in Italia, recuperando i rapporti con parte della sua famiglia, sarà capace di recuperare anche quello col suo corpo e con il suo essere donna e in futuro madre. Quello girato da Laura Bispuri, la sua opera prima, è un film concentrato su questo personaggio duro, che non concede nulla se non all'umanità che lentamente lo pervade e lo reinserisce in una società. Un film che, come avvenuto ultimamente con altri titoli, esplora la condizione femminile. Come spiega la regista ai nostri microfoni:

R. – Assolutamente, assolutamente! E’ una riflessione proprio sulla condizione femminile in rapporto alla libertà. Una cosa cui tenevo era non far vedere l’Albania solo come qualcosa di negativo e, invece, il Paese occidentale – in questo caso l’Italia – come qualcosa di assolutamente positivo: non volevo creare un bianco e nero. Per cui sicuramente c’è una grande riflessione su quel tipo di cultura, che è poi riferita all’ambiente delle montagne del Nord dell’Albania, ma c’è anche una riflessione più ampia anche sulla nostra società più moderna.

D. - Mark-Hana alla fine, dopo essere entrata in contatto con la società occidentale, con non poche disillusioni, riconquista la sua femminilità, con un atto di riappacificazione con il proprio passato e la propria famiglia…

R. – Diciamo che riesce a far sì che il suo corpo, che era un corpo assolutamente imprigionato, congelato, piano piano riesca ad avere una sua autonomia, una sua accettazione. Quindi Hana-Mark fa tutta una serie di percorsi, perché comunque ha voglia, curiosità, ma anche paura, per arrivare ad avere una sua tranquillità e una sua accettazione come essere femminile.

D. - La sua curiosità, come regista, è prima di tutto antropologica…

R. – Femminile, sì. Molto… Diciamo che è un tema ricorrente, appunto, avere questi personaggi femminili che cercano un modello in cui identificarsi, un modello a cui sentire di appartenere. Quindi fanno viaggi dentro la complessità, che è la femminilità.

D. - La situazione della donna oggi nel mondo?

R. – Ci sono dei Paesi in cui è veramente allucinante, perché la violenza è molto forte. Però anche da noi, dove i Paesi sembrano essere molto più liberi e molto più evoluti – e certamente lo sono… - rimangono delle tracce di difficoltà per le donne: il percorso femminile è molto faticoso, molto!








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