2015-02-12 11:08:00

Bambini soldato. Vescovo in Uganda: possiamo salvarli


Ricorre oggi, 12 febbraio, la Giornata mondiale contro l’uso dei bambini soldato. Negli ultimi anni, per fermare questo terribile sfruttamento dei più piccoli, sono stati firmati documenti nelle più importanti sedi internazionali, a partire dalle Nazioni Unite, ma il fenomeno continua a resistere in molte parti del mondo. Ce ne parla Davide Maggiore:

Sono la parte più indifesa dell’umanità, ma sempre più spesso vengono trasformati dalla crudeltà altrui nei soldati delle guerre contemporanee: sono oltre 250 mila i bambini e le bambine arruolati a forza o indottrinati, resi schiavi, impiegati come spie o combattenti. Ne è stata denunciata la presenza – tra l’altro - in Iraq, Siria, Somalia, Sud Sudan, Afghanistan e Mali. Costretti loro malgrado a sparare e a uccidere, i bambini-soldato vengono privati dei loro diritti più fondamentali, innanzitutto quelli a vivere un’infanzia serena e a ricevere un’istruzione adeguata. E spesso la fine del conflitto non significa la liberazione. Sia i giovani combattenti che i territori dove hanno agito portano a lungo l’impronta della guerra. Ne è testimone mons. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira, in nord Uganda, che ha visto la sua diocesi attraversata dai giovanissimi miliziani del Lord’s Resistance Army:

R. – Il problema è quello delle ferite profonde che sono dentro, del trauma di una società che ha respirato violenza per anni e anni. Siamo in un periodo di ricostruzione che non è soltanto materiale, di strutture e di ripresa economica, ma si tratta soprattutto di una ricostruzione - direi - psicologica e morale. E’ in questo che l’opera della Chiesa è ancora più urgente che mai, anche dopo la fine della guerra.

E il vescovo sottolinea anche quale può essere il contributo delle comunità religiose alla vita di ragazzi e ragazze reduci dalla guerra e spesso respinti, per paura, dai loro stessi vicini:

R. – Incoraggiare ad accogliere questi ragazzi, a non vederli solo come un problema, ma come una occasione proprio di esercitare la carità cristiana, di aiutarli a reinserirsi, perché loro stessi sono le prime vittime di tutta questa tragedia.

Malgrado le ferite fisiche e psicologiche c’è però anche chi riesce a lasciarsi alle spalle il mondo della guerra e ad imboccare una strada diversa. Ancora mons. Franzelli:

R. – So di alcuni che, pur portandosi dentro ancora queste ferite, stanno cercando di ricostruirsi una loro vita. Io ricordo con piacere Kathrine, l’ultima delle ragazze che è stata liberata di quelle che erano state rapite e che sono rimaste nel bosco per anni e anni… Era tornata con il suo bambino ed era come persa, smarrita: l’anno scorso ho avuto la gioia di ritrovarla in una scuola superiore di Kampala, dove è stata mandata e dove si preparava a superare gli esami precedenti all’università.








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