2015-02-12 15:47:00

Istat: causa crisi, nel 2014 minimo storico natalità


In diminuzione le nascite in Italia sia da madri italiane, sia straniere: lo dice l’Istat che oggi ha diffuso gli indicatori demografici dell’anno 2014. In calo anche il numero dei decessi, mentre cresce l’aspettativa di vita. L’Istituto rileva anche una riduzione complessiva della popolazione di cittadinanza italiana residente nel "Bel Paese". Il servizio di Adriana Masotti:

Solo 509 mila i nati nel 2014, il livello minimo dall’Unità d'Italia. E’ questo il dato più rilevante che emerge dalle rilevazioni dell’Istat. Calano le nascite da madri sia italiane sia straniere, "con le prime che nel 2014 hanno 1,31 figli contro 1,97 delle seconde". L'età media del primo parto sale a 31anni e mezzo. La popolazione di cittadinanza italiana residente, rileva l’Istat, è scesa a 55,7 milioni al primo gennaio 2015 con una perdita pari a 125 mila unità rispetto all'anno precedente. 

Al primo gennaio 2015 l'età media della popolazione ha raggiunto i 44,4 anni. La popolazione - dai 65 anni in su - supera di molto quella dai 0 ai 14 anni. La speranza di vita cresce arrivando a 80,2 anni per gli uomini e a 84,9 anni per le donne.

La regione italiana col primato della natalità è il Trentino Alto Adige che supera anche la Campania. In generale, secondo l’Istat, il tasso di natalità scende dall'8,5 per mille nel 2013 all'8,4 per mille nel 2014. Le regioni col più basso livello di nascite sono la Liguria, la Sardegna, il Molise, la Basilicata. Alla Liguria appartiene anche il più alto tasso di mortalità e, quindi, anche il tasso d'incremento naturale più sfavorevole. Che lettura dare a questa fotografia dell’Italia? Risponde il sociologo Maurizio Fiasco:

R. – Vi è l’effetto dell’innalzamento dell’età media del primo parto e poi c’è il comparire nella quotidianità, nelle abitudini degli italiani, degli effetti di una crisi che dura da 7,8 anni. Questa crisi non è soltanto di indicatori economici: sono indicatori di comportamento, di idea della vita, di progettazione dell’esistenza e, quindi, hanno un riflesso nella quotidianità. Va letta su vari piani. Ovviamente, c’è un piano specialistico dei demografi e c’è una lettura che la correla alla nostra quotidianità, a un Paese che è l’unico in Europa, se si eccettua la Grecia, che ancora permane nella recessione, nella stagnazione, che è una stagnazione non solo di indici economici ma è una stagnazione di progetto di vita. Questo, sicuramente, è rivelato anche dall’altissimo numero di espatri di italiani che vanno a cercare delle chances esistenziali, oltre che di lavoro, fuori dei confini della patria.

D.  – Quindi il dato sulle nascite coagula tutto un insieme di dati, che comunque rivelano una Italia che ha poca speranza, poco futuro, che vive un momento difficile… Non è certo un dato positivo…

R.  – Non è un dato positivo perché vi confluiscono più indici, più fattori. Non è soltanto una perdita di attitudine al comporre la famiglia e a dotarla di un numero di figli, come si sarebbe potuto interpretare 10 anni fa. Vi è probabilmente questo, ma vi è anche il mordere di una crisi che si prolunga e che quindi riduce le propensioni a un progetto di vita a lungo termine, schiaccia la persona nella quotidianità dei deficit e quindi ha un riflesso anche di tipo comportamentale. Poi vi sono dati strutturali, uno dei quali, ripeto, è questa fuga di italiani in età fertile a cercare prospettive di vita fuori dall’Italia. Noi non siamo solo un Paese che accoglie migranti: siamo tornati, ovviamente con numeri molto più contenuti, ad essere un Paese di migranti, qualificati, non più generici, come nel Dopoguerra, ma pur sempre un Paese che torna a contribuire in maniera rilevante ai flussi migratori in uscita.

D.  – Potremmo fare un commento anche sul fatto che la regione italiana con il primato delle nascite è il Trentino Alto Adige, che supera anche la Campania, che tradizionalmente era la regione con più popolazione. Questo cosa può voler dire?

R.  – Può voler dire che al tasso di natalità si correla anche un profilo meno drammatico della crisi, ma anche a scelte istituzionali che possono essere state fatte per compensare, con un welfare, con un sistema di sicurezza sociale più adattato alla quotidianità delle famiglie, il disincentivo al progetto di vita e il disincentivo al procreare. Quindi, non è che si può contemplare questo dato: bisogna leggerlo in funzione del “che cosa si fa”. Una scheda sintetica, come quella che l’Istat ci ha dato, suscita numerosi interrogativi che hanno riflessi pratici sulla scala dei singoli, sulla scala dei sistemi e anche sulla scala delle istituzioni.

D.  – Il sentimento religioso… L’Italia, si è sempre detto, è un Paese cattolico, forse questo adesso tiene meno, però potrebbe essere anche questo un fattore che entra in campo…

R. – Il sentimento religioso va letto all’interno di un più vasto senso comune, di un più vasto pensiero dell’esistenza. E’ un aiuto importante a definire un’idea del senso e quindi delle responsabilità e delle possibilità che la vita ti offre. Ma il contenitore è più vasto: cioè, il deficit che c’è in Italia è un deficit di motivazione a uscire dalla crisi, è un atteggiamento di ripiegamento, di attesa, come se la responsabilità stesse da un’altra parte. Il sentimento religioso ha un cardine spirituale, ma ha anche un cardine di supporto psicologico: ti impegni perché riesci a vedere oltre la quotidianità così segnata dal negativo e dalla crisi. In questo senso ti aiuta, però non può essere l’unica variabile che incide in questo caso sui comportamenti di nuzialità e di procreazione.








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