2015-02-13 14:11:00

Yemen: anche Germania e Italia chiudono le ambasciate


Sempre più critica la situazione nello Yemen: anche Italia e Germania hanno deciso di chiudere le proprie ambasciate nel Paese. Al Qaeda nella penisola arabica ha conquistato una base militare nella provincia di Shabwa, nel sud. Mentre nella zona centrale si segnala un attentato kamikaze contro una stazione di polizia controllata dai miliziani sciiti Houthi, che nelle scorse settimane hanno preso il controllo della capitale Sanaa. Ed è stato pressante l’appello che ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha rivolto alla comunità internazionale. “Lo Yemen - ha detto - sta cadendo sotto i nostri occhi”. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

R. – Ci sono diversi piani di instabilità che si sovrappongono e si intersecano fra di loro allo stesso tempo: sciiti-sunniti, lotte intra-sunnite tra le diverse tribù, contenziosi clanico-tribali, divisioni tra indipendentisti del Sud, basti pensare agli indipendentisti di Aden, nel Sud del Paese, che sono tornati di nuovo alla ribalta; e infine, appunto, il terrorismo di stampo qaedista. Quindi, sono più situazioni che stanno portando a una sorta di disintegrazione del tessuto sociale e del contesto yemenita che abbiamo conosciuto fino ad oggi.

D. – Riattivare il processo politico nel Paese è ancora possibile?

R. – Allo stato attuale, è molto difficile. Ci sono stati tentativi fino a pochi giorni fa: penso all’accordo che avevano stipulato gli Houthi con le altre forze in campo per l’istituzione di un Consiglio presidenziale ad interim, che dovrebbe fornire una sorta di governo di transizione, prima di indire nuove elezioni. Obiettivamente, per come è la situazione attuale sul campo, è molto difficile che possa essere riattivato nel  breve un dialogo o un processo di pace inclusivo, soprattutto.

D. – E’ davvero ipotizzabile un ritorno in sella dell’ex presidente Saleh, deposto nel 2012?

R. – Ci sono fonti che parlano di un ruolo di Saleh all’interno delle rivolte, soprattutto per quanto riguarda l’avanzata degli Houthi. Quindi non è così fantapolitica pensare che Saleh possa avere avuto un ruolo all’interno delle rivolte.

D. – Qualcuno pensa che sul territorio yemenita si stia giocando una partita tra Iran e Arabia Saudita: è così?

R. – Lo Yemen rientra più in una dinamica tra sciismo e sunnismo, ma soprattutto rispecchia quel classico schema lotta tra Arabia Saudita e Iran. Perché? Perché l’Arabia Saudita considera da sempre lo Yemen il proprio cortile di casa e quindi una instabilità ai confini del proprio cortile indica una stabilità interna in una prospettiva di politica estera e di sicurezza saudita. Allo stesso tempo, per l’Iran un Paese come lo Yemen, che ha una forte componente sciita, rappresenta un punto di svolta del rafforzamento del 'soft power' iraniano all’interno della regione. Insomma, sono diverse strategie che si incrociano e che rischiano di compromettere ulteriormente il quadro strategico regionale.

D. – Qual è il ruolo dell’Occidente?

R. - Gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo importante. Basti ricordare che tra Yemen e Stati Uniti esiste un accordo di cooperazione a livello di intelligence molto forte. E si può fare cenno anche al bombardamento attraverso l’uso di droni di varie postazioni di terroristi nella penisola arabica e soprattutto nello Yemen. Tuttavia, nonostante i finanziamenti che sono stati dati ai governi legittimi, prima di Saleh e poi anche quello di Aden, non si è riusciti comunque a trovare un modo per arginare questi diversi fenomeni di instabilità. Attualmente Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e anche Italia stanno chiudendo le proprie ambasciate e quindi la sensazione è che l’Occidente, in questo senso, stia riconsiderando la propria strategia all’interno delle dinamiche della penisola arabica.








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