2015-02-16 13:30:00

Copenaghen. Attentatore era danese, intelligence in difficoltà


Danimarca ancora sotto choc dopo il duplice assalto a Copenaghen di sabato scorso che ha causato la morte di due persone e il ferimento di altre cinque. La polizia ha confermato l'arresto di due persone. L’Onu ha condannato il gesto criminale attribuito sinora all’unico attentatore, ucciso ieri dalla polizia. Gli inquirenti hanno confermato che l’uomo, un danese di 22 anni, già noto negli ambienti criminali, era legato al radicalismo islamico e si è ispirato all’attentato compiuto a Parigi contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Massimiliano Menichetti ha intervistato Maurizio Simoncelli vice presidente di Archivio Disarmo:

R. - Il fenomeno sta trovando adepti anche in persone che fino a poco tempo fa non immaginavano neppure di poter attivarsi nel fare attentati. Quindi abbiamo da un lato le cosiddette “cellule dormienti” che adesso si stanno attivando - e abbiamo visto già che contro Charlie Ebdo hanno operato in modo organizzato - e dall’altro ci sono anche altri che si muovono in modo del tutto autonomo ed indipendente, e questo complica certamente tutto il quadro del controllo da parte delle forze dell’ordine e dell’intelligence.

D. - In questo quadro anche la conquista da parte del sedicente Stato islamico di Sirte in Libia preoccupa …

R. - Preoccupa a livelli altissimi, perché la Libia si trova proprio di fronte a noi, a pochissima distanza. Purtroppo oggi possiamo dire che l’intervento in Libia è stato del tutto improvvido e abbiamo - di fatto - contribuito a far precipitare la Libia nel caos attuale. Ci troviamo di fronte ad una grave e grande sfida e quello che è importante - e che mi sembra che il nostro ministro degli Esteri abbia messo in evidenza - è che bisogna muoversi all’interno di una cornice internazionale, di legalità internazionale, che solamente le Nazioni Unite possono garantire.

D. - Questo alza anche il pericolo per l’Italia?

R. - Questo alza il pericolo per l’Italia. Evidentemente anche un tipo di intervento militare deve essere ben valutato, perché l’esperienza storica ci ha fatto vedere che gli interventi militari attuati negli ultimi 20 anni non hanno dato grandi risultati, a partire dall’Iraq all’Afghanistan, alla stessa Libia e così via.

D. - Secondo lei, lo Stato islamico ha assorbito, ha superato la dimensione di Al Qaeda?

R. - Sicuramente sì, perché ha dimostrato una capacità di propagarsi non solo su scacchieri molto più vasti - dall’Africa al Medio Oriente, all’Estremo Oriente, parlando dell’Afghanistan - ma soprattutto ha fatto un salto di qualità anche dal punto di vista organizzativo, finanziario e militare.

D. - La via per risolvere questa situazione è necessariamente quella armata o bisognerebbe far leva su tutte quelle componenti che non condividono questo dall’una e dall’altra parte?

R. - La risposta non può che essere politica, e tutte le componenti politiche, sociali e religiose devono intervenire perché altrimenti la risposta armata – lo abbiamo visto nel tempo – non ha dato i risultati che volevamo avere.








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