2015-02-17 13:17:00

Libia: Ue, nessuna soluzione da guerra. Pax Christi: no alle armi


Sono andati avanti nelle ultime ore i raid egiziani su postazioni dei gruppi jihadisti in Libia, in risposta alla barbara uccisione dei 21 copti da parte del sedicente Stato islamico. I bombardamenti, a cui partecipa anche l’aviazione libica, hanno preso di mira la città nordrientale di Derna, dov’è stato pure colpito il "Tribunale della Sharia", istituito dai miliziani. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si appella intanto al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il servizio di Giada Aquilino:

Al-Sisi chiede al Palazzo di Vetro di “adottare una risoluzione” per un “intervento internazionale in Libia”. Annuncia che i raid sulle postazioni jihadiste continueranno “in maniera corale”. All’Onu fa riferimento anche l’Italia che ora, dopo un vertice a Palazzo Chigi del premier, Matteo Renzi – insieme con i ministri degli Esteri, Paolo Gentiloni, dell’Interno, Angelino Alfano, e della Difesa, Roberta Pinotti – invoca una forte azione diplomatica in ambito delle Nazioni Unite, per promuovere stabilità e pace in Libia. Dopo le recenti minacce all’Italia da parte dell’Is, che si è dichiarata “a sud di Roma”, interviene anche Hamas: il movimento islamico al potere a Gaza respinge ingerenze in Libia “da parte di alcuni Paesi come l'Italia”: un dirigente, Salah Bardawil, afferma infatti che un intervento militare sarebbe considerato “una nuova Crociata contro Paesi arabi e musulmani”. Dall’Unione Europea un invito al dialogo “fra tutte le parti in Libia” perché nelle parole dell'alto rappresentante per gli Affari esteri, Federica Mogherini, “l'opzione militare non è la soluzione al conflitto”. Ne è convinto anche padre Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia:

R. – Potremmo dire proprio perché non sappiamo quali conseguenze ci possano essere. Non possiamo parlare di un intervento militare con superficialità. Non dobbiamo ripetere gli errori del passato, sia in Libia recentemente, nel 2011, ma anche in Iraq, Afghanistan, quando si scelse di intervenire militarmente, con l’ammonimento di Giovanni Paolo II che nel 1991 parlò di “avventura senza ritorno”. Credo che scegliere la strada militare sia proprio mettersi in un’avventura di cui non riusciamo ad immaginare le conseguenze, non pensando a quello che è successo.

D. – Purtroppo, il quadro libico è complesso da tempo. Ci sono più fazioni, più gruppi armati, c’è la realtà del jihadismo già presente nel Paese e che ora sposa la causa dell’Is. Come affrontare l’emergenza?

R. – Visto che è pieno di tribù, di clan, di interessi per il petrolio, dovremmo forse favorire politiche di pace, per fare incontrare. Non mettersi in questo ginepraio con le armi che distruggono e impediscono di sedersi attorno a un tavolo. Consolidare le forze buone che ci sono in Libia, non mettere i nostri interessi al primo posto. Come Pax Christi diciamo: blocchiamo la vendita delle armi, blocchiamo ogni rapporto con chi è legato all’Isis o con chi fa la guerra.

D. – Dopo l’uccisione dei 21 copti egiziani, dal Cairo il presidente al-Sisi chiede all’Onu un intervento internazionale. La Libia oggi di cosa ha bisogno?

R. – Sarà l’Onu a valutare. Ma l’importante è che non ci siano gli interessi dei singoli Stati per l’approvvigionamento delle materie prime. Ricordo anche che l’Onu ha nelle premesse del suo statuto questo concetto: noi popoli delle Nazioni Unite ci mettiamo insieme proprio per non fare la guerra.

D. – Proprio per i 21 copti egiziani uccisi, il Papa ha pregato: “Che il Signore come martiri li accolga”...

R.  – Sì, proprio in questi giorni abbiamo saputo anche del riconoscimento di un altro martire, mons. Romero. Sono i martiri di questi giorni: ci sono le persone che pagano con la vita. Penso a loro, penso ai tanti amici cristiani. Sono stato tante volte in Iraq e rifletto sul fatto che alcuni di quelli che ho incontrato sono stati uccisi. Ci sono persone che pagano col sangue la coerenza delle proprie scelte, l’essere in situazioni di guerra. E il loro sangue, insieme a quello di tanti altri, insieme a quello dei 21 copti, chiede a noi di dare magari non il sangue ma tutto l’impegno per un mondo di pace.

D. – Lei ha scritto che dare inizio a una guerra significherebbe aiutare il terrorismo, produrre altri profughi, altri viaggi di disperati gestiti dalla malavita. La strategia dei gruppi jihadisti sarebbe quella di un esodo di massa pilotato dalla Libia, nel tentativo di creare una situazione di caos in Italia e non solo…

R.  – E’ difficile capire cosa pensino queste persone. Certo che violenza semina violenza. Ma, soprattutto, direi, per tornare alla riflessione dei martiri, una scelta di questo genere ci inaridisce il cuore, per cui non ci scandalizziamo più, non piangiamo più per chi muore in mare, per chi scappa. Credo che la strategia dei terroristi sia quella di disumanizzarci. Noi invece dobbiamo conservare la nostra umanità, che è l’unica speranza.








All the contents on this site are copyrighted ©.