2015-02-18 15:58:00

Libia. Beccegato, Caritas: "E' guerra. Si usano gli immigrati per fini bellici"


"E’ una guerra e come tutte le guerre è difficile parlare di controllo della situazione". "Ogni giorno, spiega Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana e responsabile dell' area internazionale di Caritas, vi sono situazioni più o meno atroci: ci sono avanzamenti del fronte o arretramenti; ci sono scontri. In questo caso sembra addirittura che gli attori in campo siano molto numerosi e particolarmente scollegati fra di loro e, pure al loro interno, particolarmente disuniti. Il quadro complessivo, quindi, lo rende particolarmente complesso, anche in vista di una possibile prospettiva di dialogo, di risoluzione del conflitto, di trasformazione del conflitto o di qualsiasi tipo di intervento si voglia pensare. Nel momento in cui gli interlocutori non sono chiari, è difficile poi pensare ad ogni forma di intervento".

Al contrario di quello che la stampa sembra accreditare, l’Is non controlla la Libia. In realtà vi sono gruppi di estremisti islamici locali favorevoli al Califfato…

"Esatto, ci sono tutta una serie di differenziazioni, affiliazioni, alleanze e sotto alleanze. Questo rende ancor più complesso il contesto, proprio perché - non dimentichiamo - la Libia è stato uno dei pochi Paesi “ricchi” dell’Africa, insieme al Sudafrica, terreno di grandissima immigrazione. Sono milioni i lavoratori stranieri in Libia".

Si può fermare la partenza degli scafisti, quindi degli immigrati, dalle coste della Libia…

"Il rischio di strumentalizzare la presenza di immigrati in Libia per fini di guerra ormai è evidentissimo. Quello che diciamo è che vorremmo veramente che la dignità di ogni persona venisse riconosciuta. Considerare queste persone come se non fossero nostri fratelli, con la loro dignità, è un punto veramente inaccettabile. Queste persone, rischiano di morire o in Libia o nella traversata o di essere rifiutati qui da noi. Vivono una situazione tremenda. I contatti che abbiamo con Caritas Libia e con interlocutori sul posto ci dicono i drammi che vivono queste persone, che adesso si trovano come intrappolate. Quello che non vorremmo è che veramente venissero utilizzati come strumenti di guerra e non come persone con la loro dignità".

Possiamo, quindi, parlare di un contesto di guerra?

"Assolutamente sì. Le guerre non sono più ormai dichiarate; non rispettano più alcun codice. Anche dal punto di vista geopolitico internazionale si considerano guerre generalmente tutte le situazioni che vanno da un certo numero di morti in su, direttamente imputabili al conflitto stesso. Tipicamente, mille morti è una delle soglie per cui un conflitto viene considerato guerra, cioè “conflitto armato maggiore”, major armed conflict. Ahimè ci siamo, volenti o nolenti dobbiamo riconoscerlo. A pochi chilometri da noi un po’ tutta l’area del Mediterraneo è in grandissimo subbuglio. Non solo la Libia, quindi, ma tutto il Nord Africa e tutto, se vogliamo, il Medio Oriente. Questo chiede alla comunità internazionale la massima attenzione per intervenire nel modo più attivo possibile; chiede di non disinteressarsi, quella globalizzazione dell’indifferenza che Papa Francesco ha sottolineato più volte e che purtroppo ha contraddistinto tutte queste situazioni da molti anni. Non vedendo un’immediata ripercussione su di noi, le abbiamo veramente dimenticate e non abbiamo fatto prevenzione, non abbiamo avuto un ruolo più attivo, come avremmo dovuto e potuto, e adesso in qualche modo ne paghiamo le conseguenze".

Che cosa fare, Beccegato? E’ in ballo anche la sicurezza del Mediterraneo…

"Forse più che pensare al come, inteso come “che cosa fare?”, è il processo, cioè il massimo consenso possibile. Il punto è unire tutte le alleanze, l’Unione Africana, la Lega Araba, l’Onu in primis, in modo tale che si prendano delle decisioni non violente, possibilmente, perché la violenza genera sempre altra violenza e la violenza, purtroppo, quasi sempre va a ricadere sui civili,  per bloccare tutto ciò che alimenta una guerra. Tolta la benzina, il fuoco si estingue. Quindi, togliere finanziamenti, togliere le armi, togliere gli interessi, togliere gli interessi nascosti, togliere i traffici e la guerra muore da sé, come ogni fuoco".

E' possibile un intervento internazionale, sotto la bandiera dell’Onu, in Libia?

"Solo non violento! Se è non violento e ha il massimo consenso, probabilmente ha la maggior possibilità di successo".  








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