2015-02-20 15:30:00

Donne a confronto su famiglia, educazione e realtà sociali


Una lettura della vita familiare vivida, a tutto tondo, vista dall'interno delle fedi, ma ben radicata nel contesto sociale, è quanto hanno offerto alcune studiose nell’ambito di un convegno dedicato a “Donne e Famiglia: Prospettive di Fede a Confronto”. L'originalità della conferenza è stata quella di mettere a confronto voci diverse di donne provenienti da contesti culturali e di fede differenti; ma con spunti di esperienze familiari personali, e accompagnata dalle variegate competenze professionali delle relatrici. Al tempo stesso, la riflessione è risultata unitaria, non circoscritta al femminile, nè subalterna a ruoli o vocazioni predefinite dall'essere uomo o donna. Gli interventi hanno così restituito il valore universale e il ruolo fondante per ogni essere umano del nascere e formarsi in una famiglia.

Promotori dell’iniziativa, svoltasi nell’ottobre scorso nella Sala Giubileo dell’Università Lumsa di Roma, sono stati la Fondazione Ifiie, International Foundation for Interreligious and Intercultural Education, e il Collegamento italiano di donne di fede che fa capo al movimento di Religioni per la pace, con l’intento di portare un contributo originale al dibattito in corso sui temi del Sinodo sulla Famiglia, che vedrà nell’ottobre prossimo la sua tappa finale.

Piuttosto che ritagliarsi uno spazio autonomo, culturale o di genere, le relatrici hanno mostrato con i loro interventi cosa significhi una lettura dei testi sacri e delle convenzioni sociali che tenga conto del valore dell'unità nella differenza, a livello familiare, sociale e religioso.

L'essere umano è uno, come raccontano i brani biblici della Genesi, creato da Dio maschio e femmina, ha ricordato il cardinale Baldisseri, segretario generale del sinodo dei vescovi, intervenuto in apertura dei lavori per portare i saluti di Papa Francesco. A quell'origine sono legati i valori dell'uguaglianza e della diversità, della solidarietà e del prendersi cura vicendevolmente. È per questo che la famiglia è il luogo in cui ci si educa a stare insieme e si supera l'individualismo.

 

La prima sessione dell'incontro ha avuto proprio come titolo, Uguali e diverse, donne moderne in famiglie tradizionali.

Una lettura biblica della famiglia

Una prima, possibile, interpretazione l'ha offerta Irene Kajon, professoressa di antropologia filosofica all'Università La Sapienza di Roma, che ha ripercorso la relazione tra Abramo, Sara ed Isacco come archetipo biblico della famiglia. Il suo punto di vista ha privilegiato lo sguardo di Sara, piuttosto che enfatizzare il volere di Dio nella loro esperienza familiare. Ha mostrato una donna nel cammino complesso in cui si svela l'identità umana e personale, notando come nel racconto biblico il primo dialogo tra esseri umani avviene tra Abramo e Sara. È il primo affacciarsi di un 'tu' nell'esperienza tra uomini. Sara è interlocutrice dell'uomo, Abramo, ed emerge nelle pagine della Genesi come soggetto autonomo nella ricerca di senso, nella vita personale e nel rapporto con Dio. Non mancano le incomprensioni e i silenzi fra loro due e con Isacco, per cui il quadro biblico ci rimanda un'immagine di famiglia vera, realistica che, come tutte le cose umane, spesso è imperfetta e fragile. E richiede, secondo la Kajon, come atteggiamento costante, la giustizia e la carità.

Famiglia al plurale e importanza della relazione uomo - donna

Completamente diverso l'approccio di Isabella Crespi, professore associato di sociologia dell'educazione presso l'Università di Macerata, che ha invitato a guardare alle famiglie in un'ottica più plurale, che tenga conto della grande differenziazione oggi in atto fra i vari nuclei familiari e dei cambiamenti nelle relazioni tra sessi e ruoli. Nella sua analisi della famiglia in una società globale, la Crespi ha scelto il punto di vista delle nuove generazioni di uomini e donne che si trovano a vivere in una complessità crescente tra culture e religioni che si incontrano, ma rischiano anche di confliggere.

Il quadro di riferimento dell'identità uomo-donna, ha osservato, è in fase di decostruzione e compito dell'educazione, in particolare dell'educazione religiosa, è di far parte di questo processo che si svolge a livello europeo. In questo modo le diverse fedi potranno partecipare anche alla sua ricostruzione. L'importante è non ridurre la famiglia ad un insieme di pratiche, nè a decisioni individuali o a strutture non familiari. Ciò che va recuperata, secondo la Crespi, è la dimensione relazionale della coppia, è l'incontro di due mondi che fanno parte di una trama generazionale da cui nasce qualcos'altro. In altre parole, ha aggiunto, la coppia uomo-donna è un'area di mediazione tra il generare, i generi e la/le generazione/i; nella terminologia anglosassone, tra gender, generation e generate. Tutte e tre le parole hanno una radice comune e un'eccedenza di significato, che rende questa mediazione talvolta drammatica ma al tempo stesso decisiva per le nostre società. Se la rilevanza delle separazioni e dei divorzi segna profondamente le nostre case, le relazioni familiari sono caratterizzate sempre più dall'incontro tra persone di diverse culture e religioni, e dalla conseguente capacità di sviluppare strategie di negoziazione di valori e di ruoli. Questa capacità di negoziazione tra diverse appartenenze culturali e religiose sarà determinante nel ricostruire dinamiche relazionali nella famiglia e nella società, restituendo loro solidità e solidarietà ed evitando invece che si chiudano in comportamenti difensivi e sterili, fonte di ulteriore conflittualità.

Famiglia: la transizione nel mondo musulmano

Una voce dal variegato mondo musulmano è venuta dalla prof.ssa Nouzha Guessous, biologa dell'Università Hassan II di Casablanca. Ha offerto un'esperienza più militante, legata alla sua attività di ricercatrice nel campo dei diritti umani e delle donne, che l'ha portata a lavorare nella Commissione reale del Marocco per la riforma del diritto di famiglia. Pur sottolineando come la condizione della donna e della famiglia varia nei paesi musulmani e non possa essere ricondotta astrattamente all'Islam come religione, la Guessous ha parlato di una fase di transizione in cui si trovano la cultura e la visione tradizionale musulmana in questo campo. L'insieme di regole e di strutture patriarcali, legate ad un contesto storico ormai lontano nel tempo, è oggi messo profondamente in discussione dai mutamenti che investono il ruolo della donna e dell'uomo nella società e nella famiglia. Questo non significa che la strada per risolvere i conflitti che ne nascono debba essere quella della secolarizzazione, come in Occidente, dell'abbandono di una visione religiosa della vita. L'attività di promozione del ruolo della donna, da lei svolta in Marocco insieme ad altri, nasce da un'ispirazione religiosa portatrice di una nuova interpretazione del Corano, secondo categorie non più legate ad una gerarchizzazione maschile nè a modelli di dipendenza economica o di sottomissione della donna. Nel Corano, ha osservato la prof.ssa Guessous, donna e uomo sono considerati uguali davanti a Dio e nella società. E laddove si faceva riferimento ad una subordinazione della donna il motivo era legato ad una tutela di tipo economico. Il lavoro era un'attività riservata agli uomini, ma è un archetipo sociale oggi profondamente mutato dai cambiamenti demografici, dall'innalzamento dell'età matrimoniale e dall'affermarsi del modello nucleare di famiglia, senza più convivenze allargate sotto lo stesso tetto paterno. Con riferimento al Marocco, la Guessous ha sottolineato come oggi il 20% delle donne sostengano finanziariamente la propria famiglia e rappresentino la fetta maggioritaria a livello di emigrazione all'estero. Ciò di cui occorre essere consapevoli è che in questo campo cambiare mentalità e tradizioni culturali è un processo più lungo rispetto all’approvazione di una nuova legge.

Più complessa, sotto alcuni aspetti, la seconda sessione dell'incontro, dedicata a Le donne e la sfida dell’educazione: trasmettere la fede nell’età della “modernità liquida”. Ha richiesto alle relatrici un duplice sguardo critico, su ciò che hanno ricevuto come insegnamento familiare, ma anche sul tipo di educazione scelta per i propri figli.

Capire in noi la complessità dell’educazione

Si tratta di un rapporto problematico, secondo la prof.ssa Tova Hartman, docente di Studi di genere ed educazione nell’Università “Bar Ilan” di Gerusalemme, perché l’educazione delle giovani generazioni vede messa in discussione continuamente la tradizione degli insegnamenti e l’interpretazione che ne viene data. D’altra parte, secondo la Hartman, tutti noi portiamo dentro dei pensieri confusi e le nostre stesse religioni hanno elementi ambivalenti, poiché non tutti i sentimenti vengono da Dio. La legge orale che ha interpretato la Bibbia ha conosciuto diverse tradizioni, con interpretazioni del testo sacro più rigide ed altre più aperte nei riguardi delle donne. E’ la realtà che offre più possibilità e tutti noi siamo chiamati ad impegnarci in questo contesto di diversità di opinioni e di alienazione delle proprie identità.

In questo senso la prof.ssa Hartman ha portato la propria esperienza di figlia di un rabbino ortodosso, che ha studiato non al liceo ma con il proprio padre e che poi ha visto il ‘suo’ mondo culturale e religioso messo in discussione durante gli studi universitari, prima in Giurisprudenza e poi in Psicologia presso l’Università statunitense di Harvard. Ne ha ricevuto come frutto una consapevolezza nuova di ciò che ci portiamo dentro come educazione, una molteplicità complessa che spesso rimane appiattita e che invece le critiche ci aiutano a comprendere e ad amare. E’ questo che porta a chiederci cosa vogliamo trasmettere ai nostri figli, non solo quindi la tradizione e ciò che viviamo, ma anche ciò che abbiamo capito e ciò che vorremmo cambiasse. Di qui è nata la sua scelta di riprendere gli studi sull’ortodossia ebraica e su quella cattolica, il rinnovato studio e confronto critico con suo padre, l’apertura di una nuova Sinagoga a Gerusalemme. Sono tutti modi per capire le ferite dell’educazione, per ascoltare voci diverse, anche emarginate, per comprendere come avviene l’accesso alla religione, l’insegnamento materno, il sacrificio, il silenzio a volte richiesto per essere buone donne.

Un cammino lungo, ancora in corso, che per la Hartman è il suo impegno educativo rivolto alle figlie e in un senso più ampio a favore di tutti, affinchè possano vivere personalmente ciò che ciascuno riceve nelle proprie fedi. L’esempio di questo approccio, lo troviamo nel Libro di Samuele. E’ la figura di Hannah, il cui marito non capisce il suo bisogno di realizzarsi come donna divenendo madre, né il suo modo di pregare Dio per questo. Nella scelta di Hannah, ha concluso la professoressa, è racchiusa non solo l’opportunità di avere modi diversi di pregare, ma la possibilità stessa di essere uomini e donne di Dio.

La dimensione spirituale del matrimonio e della famiglia

Tutt’altra angolazione ha scelto Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn, fondatrice e direttrice dell’INTAMS, Accademia Internazionale per la Spiritualità Coniugale, di Bruxelles. Per lei la sfida educativa va colta oggi nelle opportunità e negli interrogativi posti dalla convivenza di varie religioni nel mondo in cui viviamo. E va approfondito il ruolo specifico che la donna e la chiesa possono svolgere perché sia colta la dimensione spirituale della realtà. Se guardiamo all’esito di tante famiglie, vediamo probabilmente solo difficoltà o disastri, ma i dati dicono che la stragrande maggioranza dei giovani vuole crearsi una famiglia. Il nostro impegno, come credenti, deve essere dunque quello di aiutarli ad avere una visione più ampia e positiva sulla famiglia e sul mondo circostante. Con questo intento nel 1987 ha fondato con il marito l’Intams, un luogo in cui lo studio della teologia e dei testi biblici è finalizzato a sostenere la vita della famiglia.

L’approccio del suo intervento è stato così per stadi successivi, a cerchi, partendo dal mondo nel quale viviamo, con le varie religioni. La prima domanda che si è posta la Brenninkmeijer-Werhahn, rispetto all’educazione ed alla trasmissione della fede, è quale sia la posizione come donne cristiane, se nella nostra epoca ancora crediamo che il mondo sia una creazione spirituale, e di conseguenza che il suo fine e il suo significato devono essere parimenti spirituali. E se l’essere immagine di Dio non si sia in qualche modo deteriorato nel corso della storia umana. Il secondo cerchio riguarda lo sbocco della nostra società cristiana, quella che è chiamata ‘modernità liquida’, con la cultura del ‘disincanto’. Queste hanno l’ultima parola o è ancora possibile che venga riconosciuta la bellezza femminile e siano presi in considerazione il suo sguardo e il suo modo di sentire lungimirante? Gli uomini danno alle donne la possibilità di farlo? Il cuore del problema è qui, perché secondo la professoressa Brenninkmeijer-Werhahn, la donna gioca un ruolo cruciale proprio nell’intersecarsi dei due ambiti, pubblico e privato, della responsabilità e dell’educazione, nella sua funzione di direttrice della scuola della famiglia. Per capirlo occorre porsi alcune domande: cosa possiamo imparare dalla storia delle donne che si sono avventurate nel terreno maschile della politica, della società e della religione? Dove è possibile parlare di una ‘pace delle donne’ e dove sono le donne che hanno ricevuto un Premio Nobel? Gli esempi che ha portato hanno aiutato a capire l’ampiezza di significato e il ruolo nella famiglia e nella società a cui faceva riferimento, con i nomi di S. Caterina da Siena e S. Teresa d’Avila, ma anche di Madame Curie, Aung San Suu Kyi e l’iraniana Shirin Ebadi fino alle donne contenute nella genealogia della nascita di Gesù e poi di quelle che lo seguirono come discepole e sostenitrici. Perché l’ultimo e più intimo cerchio, per la professoressa, è quello della fede cristiana nel matrimonio e nella famiglia. E’ lì, in quella realtà, con le sue imperfezioni e fragilità, nella diversità e nella complementarietà tra uomo e donna, che gli esseri umani scoprono la loro umanità, la loro dimensione relazionale e conviviale, il loro poter essere ‘piccola chiesa’.

Il femminile nella cultura islamica

Tutto al femminile l’ultimo intervento della teologa musulmana Shahrzad Houshmand Zadeh, docente di studi islamici alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, che ha voluto evidenziare come la fede e la cultura islamica siano costitutivamente segnate dal femminile. Già i termini utilizzati dal Corano per parlare di Dio, amore e misericordia, sono parole che in arabo hanno una radice comune nella parola che indica l’utero materno, quasi a volerci dire che è il Creatore l’inizio e la fine di tutti gli esseri. Inoltre, nella visione dei mistici musulmani, la sacralità del Corano come di ogni libro sacro è nell’essere madre dei credenti; così come La Mecca è femminile ed è madre delle città; e lo stesso Profeta, terza parola fondamentale della logica coranica, viene presentato come colui che viene dalla madre, lui che era analfabeta e riceve la rivelazione del libro sacro.

Questi riferimenti, secondo la teologa Shahrzad Housmand, indicano non solo l’importanza di una piena comprensione della radice terminologica per una corretta comprensione del Corano, ma anche il ruolo fondamentale che le donne hanno avuto e devono riprendersi, per il bene dell’umanità. Come nell’esperienza di Mohamed, sono loro le educatrici dei profeti e della società.

Le figure di Khadija, moglie e prima credente e sostenitrice del Profeta Mohamed, e poi di Fatima, figlia del Profeta che lui considererà sua madre e maestra, sono una testimonianza fondamentale di questo ruolo. Tra le molte donne di cui il Corano parla c’è comunque un modello insuperabile, ha ricordato la Shahrzad Housmand, e forse inaspettato, Maria. La madre di Gesù è l’unica ad essere nominata trentaquattro volte nel testo, e non come moglie o figlia, ma come modello per gli uomini di tutti i tempi di vera libertà, avendo raggiunto la piena realizzazione umana e spirituale.

pietro cocco








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